Umanizzare le indagini sulla mobilità in modo smart? Si può

Redazione GO

Le tradizionali indagini sulla mobilità presentano delle limitazioni ormai note al settore. Self-report bias, dati obsoleti, incompletezza delle informazioni, costi e tempi elevati. D’altro canto, le opportunità offerte dal digitale come i dati FCD o i dati provenienti dalle celle telefoniche risultano “de-umanizzate” in quanto più difficilmente ascrivibili a caratteristiche socio-demografiche della popolazione indagata o ad altre informazioni quali motivazioni o modalità di viaggio. Dunque, perché non trovare una via di mezzo? A Bologna ci hanno provato con il progetto Pollicino, il protagonista dell’articolo di questo mese.

Briciole di mobilità: cos’è il progetto Pollicino

Breadcrumb, letteralmente “briciole di pane”, è uno dei termini che viene utilizzato per indicare i dati sulla mobilità generati dai dispositivi digitali quali ad esempio app, smartphone o veicoli connessi o condivisi. Essi, infatti, registrano le informazioni sugli spostamenti sottoforma di una serie di punti localizzati con latitudine e longitudine e raccolti ad intervalli regolari.

È proprio questa la caratteristica che rimanda alla celebre favola di Charles Perraut e che dà il nome al progetto avviato nel Comune di Bologna e promosso dall’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility. “Pollicino” raccoglie dati sui comportamenti di mobilità grazie alla partecipazione volontaria di cittadini e cittadine che acconsentono all’uso di un’app di tracking (“IoPollicino”) installata su smartphone per il tracciamento dei propri spostamenti in un periodo limitato di tempo (7 giorni), con la possibilità di fornire anche ulteriori informazioni e percezioni sulle proprie abitudini di spostamento (motivi di viaggio, servizi sharing utilizzati ecc.) e caratteristiche personali (informazioni socio-demografiche).

Grazie alla costruzione di un campione rappresentativo di utenti (in questo caso un campionamento per quote), con un numero limitato di persone è possibile raccontare la mobilità di un ambito molto più esteso, che va da aziende, comunità o intere città. Nel caso di Pollicino, nell’arco delle 6 settimane di indagine gli utenti dell’app IoPollicino sono stati complessivamente 1.827. Il campione è stato successivamente filtrato e riproporzionato a 600 individui.

Figura 1 – report Pollicino

 

“Pollicino” è stato avviato nel 2022 nel capoluogo emiliano con lo scopo di sperimentare un innovativo modello di indagine per la raccolta di informazioni sui comportamenti di mobilità della cittadinanza. La conoscenza dettagliata e il più possibile fedele delle abitudini di viaggio di un gruppo di individui, infatti, è fondamentale qualora si ritenga necessario intervenire per cambiare il loro modo di muoversi ed individuare soluzioni più efficienti, salutari e sostenibili.

Eppure, come spesso sostenuto da GO-Mobility nell’ambito delle attività legate alla promozione di una cultura del dato, questa conoscenza è ancora molto limitata e resa difficoltosa dalla mancanza di integrazione e coordinamento delle fonti, pianificazione e implementazione del monitoraggio dei dati, e capacità di raccolta e analisi della grossa mole di dati provenienti dalle fonti più innovative (big data).

Come riportato nel documento di presentazione dei risultati del progetto Pollicino, “la possibilità di disporre di dati e informazioni essenziali con costi e tempi limitati, con una tecnica e metodologia di indagine che possa essere ripetuta sistematicamente, anche con cadenze ravvicinate (una sorta di Auditel della mobilità), rappresenta un salto di qualità in tutta l’attività di governo della mobilità, sia a livello macro, per esempio la redazione di un Piano per la Mobilità Sostenibile di una città, sia a livello micro, come potrebbe esserlo un Piano Spostamenti Casa-Lavoro di un’azienda”.

Andare oltre i limiti delle indagini tradizionali

La particolarità di questo progetto è di andare oltre le limitazioni ormai note sia delle tradizionali modalità di indagine che di quelle più innovative, con un nuovo metodo atto a produrre e mettere a disposizione dati personali relativi alle proprie abitudini con il consenso e la volontà esplicita di chi li produce, che rimane in controllo dei propri dati e partecipa consapevolmente a finalità condivise (in questo caso, attività di ricerca finalizzata alla riduzione degli impatti ambientali della mobilità). Questo approccio promuove infatti modalità di analisi e di intervento sulla mobilità basate sulla collaborazione ed il coinvolgimento della popolazione in esame.

Riportando di nuovo le parole del report: “Questo approccio, oltre a promuovere una nuova consapevolezza sul ruolo dei dati di mobilità e sul loro sfruttamento, crea le condizioni per raccogliere una quantità d’informazioni più ampia di quanto sia possibile ottenere oggi anche tramite le indagini basate sulla localizzazione da celle telefoniche. Questo tipo di collaborazione, che appartiene ad una forma di raccolta dei dati chiamata «altruismo dei dati», ovvero la messa a disposizione di dati personali su base volontaria da parte di individui o imprese per il bene comune, non solo rappresenta un modo per migliorare la conoscenza della mobilità di un determinato luogo ma anche uno strumento di coinvolgimento dei cittadini nel quadro delle scelte politiche per migliorare le nostre città”.

La metodologia sperimentata da Pollicino è infatti rapida e a basso costo, ripetibile a cadenza ravvicinata (ad esempio in occasione del monitoraggio degli effetti di un PUMS); è capace di ricostruire la mobilità delle persone effettuata in qualsiasi modo (grazie ad algoritmi di riconoscimento del mezzo – activity recognition); è affidabile nella ricostruzione del numero di spostamenti effettuati e della loro distanza e durata; ed è inoltre in grado di descrivere la mobilità dei giorni sia feriali che festivi, nelle diverse ore del giorno.

Si tratta di caratteristiche difficilmente rintracciabili nelle indagini di tipo tradizionale sulle abitudini di mobilità. Questionari o interviste, infatti, presentano diverse limitazioni che possono compromettere l’accuratezza e l’efficacia dell’analisi. Per citarne alcune:

  1. Soggettività e Bias: domande dirette all’utente, spesso relative alla mobilità passata (del giorno o mese precedente) porta al rischio di risposte inesatte o influenzate da fattori soggettivi come la memoria distorta, il desiderio di dare risposte socialmente accettabili o il semplice errore umano, che può portare a dati distorti o incompleti specialmente in relazione a dettagli specifici quali orari, percorsi o modalità di trasporto utilizzate.
  2. Costi e tempi elevati: la necessità di reclutare personale ed elaborare e somministrare questionari o effettuare interviste può comportare costi e tempi molto elevati.
  3. Dati obsoleti: le indagini sono spesso retrospettive e richiedono del tempo per essere condotte e analizzate. Questo può rendere difficile ottenere dati in tempo reale sulle abitudini di mobilità, che sono fondamentali per prendere decisioni immediate e informate.
  4. Incompletezza: la mobilità delle persone è sempre più complessa e articolata. Le abitudini variano a seconda della stagione, del giorno della settimana o di eventi specifici che le indagini tradizionali non sono in grado di cogliere, focalizzandosi solitamente sullo spostamento principale e regolare (casa-lavoro) o su un solo giorno di studio feriale.

Per superare queste limitazioni, sempre più centri di ricerca, istituzioni o società di consulenza come GO-Mobility stanno adottando approcci basati sulla tecnologia ed i veicoli connessi, come l’uso di dati GPS, sensori di mobilità e analisi dei dati delle celle telefoniche per raccogliere informazioni più accurate e in tempo reale sulle abitudini di mobilità, per una comprensione più approfondita dei comportamenti.

Dall’analisi di Pollicino emergono infatti alcuni risultati difficilmente rintracciabili dalle indagini di tipo tradizionale. Ad esempio, mostra come la mobilità dei “Pollicini” veda negli spostamenti non sistematici (diversi dal casa-lavoro) la componente nettamente predominante della mobilità. La quotidianità non è più scandita da questo tipo di spostamenti: la percentuale di persone che si spostano per andare a lavoro ogni giorno è meno di un quarto del totale (23%).

Come mostra la figura sottostante, un altro interessante stimolo fornito dal progetto Pollicino è l’analisi affiancata sia degli spostamenti che delle percorrenze (pkm): sono queste ultime, infatti, che determinano l’impatto complessivo in termini di emissioni delle diverse modalità di spostamento. Infatti, se guardando al numero di spostamenti si registra una maggioranza di modalità di tipo sostenibile (59.6%), la quota di percorrenze risulta in maggior parte composta da mobilità non sostenibile (mezzi motorizzati privati, 63.5%). O ancora, guardando agli spostamenti del weekend, si evince che risultano inferiori in termini numerici ma complessivamente più lunghi in termini di km percorsi.

Figura 2 – Report Pollicino

 

Non solo: indagare lo spettro complessivo della mobilità permette anche di andare oltre alcuni stereotipi. Ad esempio, i risultati di Pollicino mostrano che, nel campione in esame, le persone che si recano a lavoro 2 o 3 giorni alla settimana percorrono distanze complessive maggiori rispetto a chi ci va tutti i giorni (rispettivamente 34 e 32 km, rispetto ai 29 di chi si reca tutti i giorni a lavoro – Figura 3).  . A tal proposito, è dunque bene ricordare che l’impatto ambientale del lavoro da casa non va isolato ma studiato considerando il comportamento complessivo delle persone nell’arco dell’intera giornata.

Guardandolo in un’altra ottica, questo dato può anche comunicare che chi sceglie di lavorare più giorni da casa, in media, è anche chi ha una sede di lavoro più distante, quindi le volte che ci si reca svolge complessivamente più km.

Figura 3 – Report Pollicino

Privacy e tracciamento: una questione partecipata

Il progetto ha avuto anche l’importante obiettivo di indagare e constatare l’interesse delle istituzioni locali, dell’opinione pubblica e dei cittadini bolognesi nello svolgimento di un’indagine sulla mobilità mediante tracciamento.

Nel testo introduttivo del report si legge infatti: “Grazie a chi a Bologna ha criticato il progetto, scambiando Pollicino per un personaggio di Orwell piuttosto che di Perrault. Anche loro hanno contribuito a raggiungere uno degli obiettivi di questo progetto: discutere sull’importanza della raccolta di dati sulla mobilità, su come e a che scopo farlo”.

Sul mercato esistono diverse applicazioni dedicate al tracciamento degli spostamenti. Alcune non prevedono affatto la collaborazione dell’utente, mentre altre prevedono invece un’interazione molto intensa. La chiave del progetto Pollicino è stata proprio trovare un punto di equilibrio tra questi due estremi, sviluppando un’app con alcuni requisiti principali:

  • estremamente semplice
  • intrusione limitata al minimo per l’utente
  • sistema di assegnazione premi sulla base del livello di collaborazione dell’utente.
  • coerenza con le direttive GDPR

 

Le informazioni raccolte mediante l’applicazione, infatti, non sono riferiti a un nome né a nessun altro dato personale identificativo (es. indirizzo email o IP), ma ad un cosiddetto ID randomico. SI tratta di un codice che viene creato dall’app una volta installata e che non è in alcun modo riconducibile a informazioni identificative del soggetto che ha deciso di partecipare all’indagine.

Figura 4 – report Pollicino

Nello sviluppo dell’app si è inoltre prestata la massima attenzione alla chiarezza e trasparenza dei permessi necessari all’accesso a dati (es. geolocalizzazione): per ogni richiesta viene infatti dettagliatamente spiegato all’utente l’utilizzo del dato acquisito, e il linguaggio scelto è estremamente semplice. Lo scopo è entrare in comunicazione con la persona senza utilizzare termini tecnici o formule giuridiche poco chiare e comprensibili. Inoltre, è tra le idee per lo sviluppo futuro dell’app aggiungere la possibilità di richiedere feedback contestuali all’utente, allo scopo di arricchire la base dati in un’ottica di apertura al dialogo tra cittadini e amministrazione.

Una metodologia come questa permette ad un’indagine di divenire allo stesso tempo una campagna di coinvolgimento, partecipazione e sensibilizzazione della cittadinanza sia rispetto al tema della mobilità che della cultura del dato e delle possibilità di raccolta di informazioni in modo etico, consapevole e partecipato.

Figura 5 – report Pollicino

Umanizzare i dati… e le modalità di analisi: l’esperienza di GO-Mobility

Come dimostra l’esperienza del progetto Pollicino, nell’ambito dello studio della mobilità è diventato sempre più necessario “umanizzare” i dati e le analisi al fine di interpretare meglio le esperienze sempre più eterogenee e complesse di spostamento.

Da tempo, infatti, in questo campo di studi si cerca di andare oltre il concetto tipicamente economico di “utilitarismo“, secondo cui gli individui prendono decisioni meramente sulla base di una scelta razionale di massimizzazione dell’utilità. Secondo teorie più recenti provenienti dal campo della sociologia e della psicologia, infatti, i comportamenti delle persone non sono mai riducibili a mere scelte individuali, ma sono influenzate dalla serie di strutture e contesti sociali in cui sono immerse (ambiente, norme, cultura ecc., diverse in ogni luogo e gruppo sociale).

In generale, la ripetizione di un dato comportamento nell’arco del tempo tende a consolidarsi in abitudine. Nel caso dei trasporti, in particolare, gli individui difficilmente scelgono come muoversi per ogni singolo spostamento, ma adottano un proprio stile di mobilità legato sia ad aspetti sia utilitaristici che di carattere emotivo o affettivo. Come recita il report del progetto Pollicino: “La propria vita si struttura intorno alla propria mobilità e viceversa, secondo processi ricorsivi in cui è estremamente difficile intravvedere dei nessi causali lineari.

Per riuscire a comprendere la complessità dei comportamenti di mobilità è ormai diffuso l’approccio della cluster analysis. Quest’ultima permette infatti la suddivisione del campione in sottogruppi caratterizzati da comportamenti simili ed omogenei, sulla base di indicatori chiave. Questa metodologia di analisi è utile, ad esempio, per indagare chi compone i diversi cluster (es. In termini di differenze di età o genere) e ottenere informazioni più dettagliate sulle motivazioni sottostanti le differenze comportamentali o altri aspetti quali l’impatto ambientale.

Nel caso di Pollicino i cluster sono stati elaborati sulla base del modo o gruppi di modi utilizzato più frequentemente negli spostamenti della settimana:

  • metabolici: si muovono sempre a piedi, in bici e con sharing mobility
  • sostenibili: si muovono sempre con un mezzo sharing o in bici a piedi; non usano MAI auto-moto
  • megamixer: mix di modalità o multimodali
  • autonomi: si muovono sempre con mezzo privato (auto/moto, bici, piedi) e non usano MAI mezzi condivisi
  • auto/moto dipendenti: si muovono sempre con auto/moto privata

Figura 6 – report Pollicino

Una logica simile è stata applicata da GO-Mobility per lo studio della mobilità di un’area montana. La necessità di “umanizzare” e semplificare le indagini e le analisi di mobilità è particolarmente importante in contesti meno densi e urbanizzati, in cui le abitudini di viaggio seguono logiche differenti e la diffidenza verso metodi di indagine “smart” è più alta o semplicemente la dimestichezza con essi è contrastata da una minore alfabetizzazione digitale. Il coinvolgimento della popolazione deve quindi basarsi su un dialogo diretto, chiaro e pragmatico.

Per questa ragione è stata ideata una metodologia basata sull’identificazione delle “personas”, ovvero “tipi” ricorrenti di mobilità in cui gli abitanti della comunità in studio possono identificarsi, e le cui caratteristiche (in termini socio-demografici e di comportamenti di viaggio) sono definite sulla base delle peculiarità del territorio, integrando le informazioni provenienti da diverse fonti come analisi di contesto, indagini di tipo tradizionale, FCD e incontri territoriali. Ad esempio, si va dalla “Persona 1”, signora anziana in pensione che si sposta prevalentemente a piedi nel proprio comune, fino a “Persona 2″, operaio di mezza età nel distretto della zona, o “Persona 3” che lavora part-time a valle alternando smartworking e lavoro in presenza.

In questi territori, infatti, l’auto privata è il mezzo di gran lunga dominante. Diventa quindi molto utile andare a studiare un campione di veicoli dotati di scatola nera da cui ricavare alcune informazioni utili alla suddivisione in cluster di comportamento sulla base di alcuni indicatori chiave, ad esempio:

  • distanze e frequenze, viaggi frequenti e brevi, o pochi ma sistematici
  • bacino territoriale, Spostamenti prevalentemente interni al comune, o scambi frequenti con comuni limitrofi o il comune capoluogo – utile a individuare “comuni dormitorio”, interrelazioni tra comuni e il livello di “chiusura” della comunità montana
  • numero di viaggi giornalieri e settimanali, utile a capire il livello di diffusione dello smart working, il livello di complessità delle catene di viaggio, la sistematicità di spostamento e la dipendenza dall’auto privata per le esigenze di mobilità quotidiana ecc.)

 

Per la ricostruzione dettagliata e ampliamento/approfondimento dei profili entra in gioco la partecipazione (a proposito di “umanizzazione”). È infatti compito delle attività di partecipazione andare a definire ulteriori dettagli di queste tipologie ed aggiungerne altre, personalizzandole sulla base delle peculiarità e caratteristiche proprie del territorio e della popolazione che lo abita. Le “personas” vengono quindi utilizzate per creare empatia nei processi partecipativi e per individuare i problemi di mobilità che queste tipologie possono incontrare, e le possibili soluzioni pratiche per superarle, lavorando insieme alla comunità.

Figura 7 – Esempi di Personas che si spostano in auto i cui andamenti orari possono essere ricavati da dati FCD sulla base dei cluster

Ma non solo: anche con metodologie di tipo tradizionale (indagine CATI – computer assisted telephone interview) è possibile applicare letture critiche dei dati atte a fornire indicazioni utili sui diversi gruppi sociali o territori più o meno afflitti da criticità.

Un altro esempio è il lavoro svolto per il PUMS della Città metropolitana di Roma Capitale, consultabile nell’Allegato 2 del PUMS intitolato “Gli obiettivi del PUMS – Dagli obiettivi al piano: per un PUMS su misura. Nota metodologica sulla pesatura degli obiettivi”, a partire da pag. 30. In questo studio i dati provenienti dall’indagine telefonica sono stati analizzati adottando diverse prospettive in modo da far emergere comportamenti, punti di vista, priorità e percezioni di diverse categorie (genere, età, categorie di stakeholder, residenti dei diversi ambiti territoriali). Una lettura critica di questo tipo è infatti fondamentale per utili per la formulazione di politiche più mirate e adatte alle esigenze delle diverse categorie di attori, territori e comunità che convivono nel territorio in studio, per una progettazione dal basso e data-driven. Un approccio simile è stato adottato nell’articolo di DataMobility “Ok Boomer: una prospettiva generazionale sui comportamenti di mobilità”.

Figura 8 – Un esempio di differenze generazionali rispetto al tema dell’elettrico, ricavate dal documento elaborato per il PUMS della Città metropolitana di Roma Capitale.

Avere informazioni più dettagliate permette infatti di andare oltre l’approccio one size fits all, ovvero la formulazione di politiche e approcci standard per tutti i territori e gruppi sociali. La progettazione su misura risulta anzi particolarmente necessaria specialmente per piani di area vasta come quelli metropolitani, che includono territori molto diversi tra loro e significative differenze in termini di dimensioni, esigenze, popolazioni e stili di mobilità delle diverse porzioni di territorio e popolazione.

Da queste analisi si sono infatti ricavate delle indicazioni di policy formulate ad hoc per la popolazione ed il territorio in esame. Si è suggerito, ad esempio, di investire sulla priorità trasversale universalmente riconosciuta come urgente da tutte le categorie prese in esame, ovvero il miglioramento del TPL, indicando le zone dove essa spiccava maggiormente.

Oppure di dare risalto, con opere di comunicazione specifiche, ai temi che sono risultati particolarmente “pop” (sicurezza stradale, inquinamento, congestione), facendo particolare attenzione alla sensibilizzazione “mirata” di alcune categorie di popolazione che presentano una minore conoscenza dei temi (es. la popolazione anziana), con metodologie e percorsi dedicati, così come alla inclusività di genere, per assicurare la capillarità della conoscenza e familiarizzazione dei temi tra tutti i generi e le classi di età.

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