Quando la mobilità non è una scelta

Ovvero quasi sempre.

Elena Colli
Travel Behaviour & Communication Manager

Leggendo report e articoli che riguardano la mobilità è impossibile non imbattersi in titoli che declamano “le preferenze degli italiani” rispetto ai mezzi di trasporto. Ma le nostre scelte di mobilità sono davvero libere o sono il risultato di un sistema che favorisce esclusivamente l’auto? Attraverso l’uso di metafore e casi concreti, con questo articolo vogliamo esplorare il concetto di illusione della scelta e del suo impatto sulle analisi e le decisioni che riguardano la pianificazione della mobilità. A partire dai dati su cui si basano i modelli di trasporto fino ai bias cognitivi che li influenzano, analizziamo come il contesto che ci circonda determina (spesso a nostra insaputa) le nostre scelte quotidiane, e perché una mobilità più equa e sostenibile è possibile solo ripensando il modo con cui si osserva e si pianifica.

Ti va un pasticcino?

In un efficace articolo sulla mobilità quotidiana, l’autore Tim Adriaansen sceglie di aprire la narrazione con una semplice scena: un vassoio colmo di pasticcini offerto nell’ambito di una merenda aziendale.

Cosa può avere a che fare con la mobilità un vassoio di pasticcini? Bastano poche righe per rendersi conto che la metafora svela in maniera molto azzeccata ciò che accade ogni giorno quando uscendo di casa si entra nella propria auto e si avviano i motori. Naturale, no? (ci torneremo).

Immaginiamoci un ambiente di ufficio: dalla dirigenza viene deciso che ogni giorno il dipartimento offrirà una merenda di metà mattinata a tutti i dipendenti. Il giorno successivo vengono offerti vassoi carichi di pasticcini in quantità sufficiente per tutti. Alcuni rifiutano, magari per questioni di dieta o di intolleranze. Ma nel complesso, 9 persone su 10 scelgono il pasticcino. La dirigenza esulta con un comunicato: «Il nostro ufficio adora i pasticcini: 9 persone su 10 preferiscono i pasticcini rispetto alle alternative offerte nella merenda aziendale». C’è un problema di statistica, giusto?

È chiaro che non si tratta di una vera scelta: se i pasticcini sono l’unica opzione, è ovvio che molte persone li sceglieranno: specialmente se vengono serviti letteralmente su piatti d’argento.

La nostra vita, le nostre abitudini e i contesti urbani in cui abitiamo sono plasmati intorno all’uso dell’automobile, servita come opzione privilegiata e spesso unica alternativa. Questo influenza inevitabilmente i modelli di simulazione utilizzati per studiare, prevedere, immaginare scenari di mobilità, e su cui di conseguenza si basano piani e investimenti. Peccato che tutto questo, rimarca Adriaansen, sia «completamente senza senso»: vediamo perché.

L’illusione della scelta

Da decenni, la pianificazione ha reso l’uso dell’auto privata l’opzione più comoda: modificando la conformazione storica delle nostre città per ospitare strade più ampie e parcheggi e investendo in infrastrutture per la mobilità motorizzata a scapito di altre modalità. Le strade sono state progettate per massimizzare il flusso veicolare, relegando ai margini la mobilità attiva, a partire dalla rimozione o dal restringimento dei marciapiedi fino allo smantellamento di linee tranviarie e la riduzione della ciclabilità ad attività sportiva e di gioco, lasciando molte persone senza alternative realmente praticabili. Di fatto, trasformando gradualmente il territorio in un “piatto d’argento” per le automobili.

Pubblicità storica della Fiat Balilla, minuto 3:18: “Non ci sono più pedoni. Togliamo i marciapiedi!”

 

Basti pensare alle linee tranviarie storiche che nel secolo scorso servivano oltre 40 città italiane, e di cui oggi non rimane quasi nulla se non in 4 città (Milano, Torino, Napoli e Roma).

L’esempio di Albano Laziale: dal corso pedonale con le linee di tram a due piani smantellati per far spazio alla mobilità privata.

 

Si tratta di illusione della scelta, un bias cognitivo che porta a credere di avere più opzioni di quante ne esistano in realtà. Questo bias è abitualmente utilizzato dall’industria automobilistica per rafforzare la motonormatività, ovvero l’idea che l’automobile rappresenti il modo normale e ovvio di spostarsi.

Abbiamo parlato più volte degli errori ricorrenti nel campo della pianificazione della mobilità: questo bias alimenta una sindrome sistematica chiamata fallacia causale, che si verifica quando osservando un fenomeno si traggono conclusioni affrettate di causa-effetto. In questo caso: «La maggioranza delle persone si sposta in auto, quindi le persone preferiscono l’auto». Ciò che si osserva in realtà non è una preferenza, ma il risultato di un sistema che facilita un’unica scelta.

Purtroppo, sia il bias dell’illusione della scelta che la fallacia causale sono ricorrenti nella pianificazione dei trasporti: i modelli di trasporto che guidano gli studi e la pianificazione della mobilità sono basati su dati storici che descrivono una realtà che offre quasi esclusivamente l’auto come opzione principale. Di conseguenza, rafforzano l’idea che la domanda di auto debba essere assecondata, senza considerare cosa accadrebbe se si offrisse un’alternativa altrettanto accessibile. Vediamo un altro esempio.

Ti interessa una casa con benzina no limits inclusa nel prezzo?

In questo caso ci viene in aiuto Todd Litman (2009)[1], esperto di pianificazione dei trasporti noto per le sue analisi innovative sulle politiche di mobilità, specialmente per quanto riguarda la tariffazione della sosta. Insieme a Donald Shoup (2005)[2], infatti, rappresenta un punto di riferimento nel dibattito sulla riforma delle politiche della sosta, come la riduzione o eliminazione dei requisiti minimi di parcheggio per le nuove costruzioni. Per spiegare queste posizioni utilizza un’altra semplice metafora.

Immaginiamo che un giorno una persona annunciasse: «Ho una grande idea: creiamo una legge che obblighi tutti gli edifici residenziali a dotarsi di pompe di benzina che forniscano carburante gratuito ai residenti. I costi del carburante verranno incorporati nei canoni di affitto. Pensate ai benefici: niente più preoccupazioni per il pagamento della benzina. Niente più attese alle stazioni di servizio. Tutti ne trarrebbero vantaggio, soprattutto le persone meno abbienti. È una grande idea, giusto?»

 

Probabilmente lo prenderemmo per pazzo. Sarebbe un provvedimento chiaramente ingiusto, dispendioso e assurdo: l’aumento dei costi ricadrebbe anche su chi non possiede o usa saltuariamente l’automobile, e incoraggerebbe tutti i residenti a guidare di più dal momento che la benzina è inclusa nell’affitto. Aumenterebbero quindi le auto in circolazione, la congestione, l’inquinamento e la dispersione urbana, insieme allo spazio occupato dalle pompe di benzina.

Eppure, basta sostituire le pompe di benzina con i parcheggi per scoprire che non si tratta di un concetto tanto diverso dagli attuali standard minimi di parcheggio richiesti per edifici residenziali e commerciali. Parcheggi abbonanti, comodi e gratuiti porteranno sempre a percepire l’auto come il mezzo più conveniente e comodo (quando in realtà come nel caso della metafora, il parcheggio non è mai realmente gratuito: ha costi di realizzazione e manutenzione che paga tutta la collettività).

Ecco quindi ripetersi l’illusione della scelta e la fallacia causale: pensiamo a quando si valutano modifiche all’uso dello spazio stradale, come la sostituzione di parcheggi su strada con corsie preferenziali per il trasporto pubblico. Se attualmente nelle strade è ampiamente disponibile il parcheggio ma non esiste una corsia riservata ai bus, il sistema sta chiaramente privilegiando la mobilità privata. Il trasporto pubblico diventa come il pezzo di frutta nascosto sotto strati di pasticcini. Basare la pianificazione osservando quante persone scelgono l’auto al posto del trasporto pubblico in queste condizioni, dunque, fornisce dati fuorvianti e non aiuta a comprendere il comportamento futuro in un sistema riorganizzato. Passiamo allora ad un esempio completamente opposto.

Ce l’hai la lavatrice?

A questa domanda la maggior parte di chi legge risponderà «che domande, ma certo». Ecco: se ci catapultiamo per un momento nei Paesi Bassi e cambiamo completamente ciò che viene proposto nel “vassoio della mobilità”, scopriremo che qui la bicicletta è considerata una sorta di elettrodomestico della mobilità, ovvero un mezzo di trasporto quotidiano ovvio, funzionale e indispensabile, usato senza particolare enfasi o status symbol. Proprio come una lavatrice.

Come si è arrivati a questa situazione? Progettando la città in modo da rendere la bicicletta il mezzo più logico e ovvio per spostarsi. La cultura ciclistica olandese non si basa su un’identità sportiva o di attivismo ecologista, ma sulla pura praticità del mezzo, favorita da infrastrutture dedicate, strade sicure e una progettazione urbana a misura di bicicletta (vedi il video “I am not a cyclist (and most dutch people aren’t eather“). Di nuovo: non si tratta di una scelta dettata da etica o altre forti motivazioni, quanto semplicemente dal “dato per scontato” trasmesso dalla conformazione della città, che rende la bicicletta un mezzo di trasporto normale e necessario, tanto quanto lo è una lavatrice per lavare i vestiti.

Questa mentalità è ben diversa da quella di molti altri paesi, dove la bicicletta è spesso vista come un’alternativa ecologica, uno “stile di vita” o un passatempo divertente o sportivo. Approccio che si riflette nella progettazione delle infrastrutture, come nel caso di piste ciclabili (quando ci sono) dirottate su strade secondarie o parchi cittadini. La fallacia causale, infatti, si manifesta anche quando si valuta l’opportunità di investire in reti ciclabili o di trasporto pubblico. I bassi livelli di utilizzo della bicicletta o di riempimento del trasporto pubblico non possono essere usati come indicatori affidabili della potenziale domanda, dal momento che si tratta da un lato di infrastrutture inesistenti o insicure, e dall’altro di mezzi infrequenti e inadeguati. Quando le alternative all’auto non sono realmente competitive, la “scelta” che viene osservata è in realtà un’illusione e non un dato utile per la pianificazione.

 

Arrivati a questo punto dell’articolo dovrebbe essere sempre più chiaro perché parlare di “scelta” risulta fuorviante. E perchè titoli come «il 65% degli italiani sceglie ancora l’auto» o «I romani preferiscono l’auto ai mezzi pubblici» (addirittura aggiungendo «non sembrano avere dubbi»). Forse non è proprio così; e forse si inizieranno a guardare questi titoli con occhi diversi.

Titoli di giornali che parlano delle preferenze e scelte di mobilità degli italiani

Titoli de Il Corriere dello Sport , The Map Report e Strade e Autostrade

Le evaporazioni che non ti aspetti

C’è un ulteriore dettaglio che rende fallaci le previsioni basate su dati storici: i modelli spesso non calcolano che gli individui sono flessibili, e che di fronte a variazioni del contesto sono capaci di adattarsi acquisendo nuove abitudini.

La progettazione stradale del XX secolo è stata caratterizzata principalmente dall’idea che la soluzione alla crescente congestione fosse l’aumento di infrastrutture stradali. Ma come abbiamo potuto vedere finora, ampliare la convenienza e la comodità del traffico privato non fa altro che attrarre e produrre ulteriore traffico (come osservato empiricamente da diversi studi.

 

In contrapposizione a questa idea c’è un filone di letteratura che ha coniato il termine “traffic evaporation”, l’evaporazione del traffico. Un fenomeno che si osserva quando, riprogettando le strade per fare spazio ad altri modi di trasporto, il traffico “scompare”, andando oltre ogni aspettativa (e previsione modellistica). Questo accade quando le persone modificano i propri comportamenti in una maniera che i modelli non hanno saputo prevedere (ad esempio, cambiando il proprio ipermercato di fiducia o sostituendo la spesa settimanale con soste più frequenti ai mercati di vicinato).

Così come nel campo della salute prevenire è meglio che curare, l’utilizzo di strategie di governo della domanda risulta più efficiente rispetto al sostegno di comportamenti “storici” osservati. La stessa elasticità delle persone, difatti, dipende sempre da quello: da ciò che è offerto nel “vassoio della mobilità”.

Dobbiamo diversificare il contenuto del vassoio (e studiarlo a fondo)

Tornando ad Adriaansen: per ridurre le emissioni e pianificare una mobilità più sostenibile ed efficiente, dunque, non possiamo affidarci a dati che riflettono solo lo stato attuale. Dobbiamo invece valutare le condizioni di accesso a tutte le modalità di trasporto e progettare sistemi in cui le alternative all’auto siano realmente competitive. Solo allora potremo capire quali sono le vere preferenze delle persone (e parlare di scelte di mobilità).

I modelli di trasporto costruiti su dati raccolti in sistemi auto-centrici soffrono di bias intrinseci e distorsioni cognitive. Se si utilizzano modelli distorti per valutare il potenziale di cambiamento comportamentale, gli obiettivi di riduzione delle emissioni appariranno sempre difficilmente realizzabili o troppo costosi.

Così come le nostre scelte, i modelli attuali dipendono da ciò che viene offerto nel vassoio: se chi analizza, pianifica e amministra comprende che che questa offerta può essere modificata, attraverso una diversa allocazione dello spazio stradale e delle risorse, diventa possibile pianificare con maggiore sicurezza un riequilibrio modale che vada nella direzione di offrire una reale alternativa alla mobilità motorizzata privata. E quindi una reale possibilità di scelta.

 

[1] Litman T. (2009), Parking Requirement Impacts on Housing Affordability, Victoria Transport Policy Institute, http://reconnectingamerica.org/assets/Uploads/parking_housing_2009.pdf

[2] Shoup, D., (2005). The High Cost of Free Parking. Routledge, New York.

 

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