dati e politica

La relazione tra dati e politica: dalle difficoltà alle occasioni di empowerment

Conversazione con Giovanna Cepparello, Assessora alla mobilità e all'ambiente presso il Comune di Livorno

Questo mese abbiamo incontrato la dott.ssa Giovanna Cepparello, assessora al Comune di Livorno con deleghe all’Ambiente e alla Mobilità. Con lei abbiamo parlato del potenziale dei dati per il governo del territorio, indagando quali sono le difficoltà e i successi che si celano dietro questo tema. Che ruolo hanno i dati nel rapporto tra politica e cittadinanza? In quale modo possono influenzare l’opinione pubblica e le decisioni di governo? Vogliamo sottolineare il tema citando le parole dell’assessora: «In questo momento storico, non si può ignorare l’importanza dei dati per la politica». 

La comunicazione politica del dato 

Questa conversazione nasce da una collaborazione tra GO-Mobility e il Comune di Livorno per l’implementazione di un cruscotto di monitoraggio per il PUMS. Quando si parla di cruscotto di monitoraggio si intende una dashboard interattiva costruita ad hoc per raccogliere, monitorare ed analizzare i dati sull’operato del Piano. Tale strumento è utile alle amministrazioni per monitorare lo stato di avanzamento del Piano e i suoi impatti sul territorio e sugli obiettivi prefissati. Per questo è in grado di fornire una base affidabile e rigorosa per informare la cittadinanza, oltre che per guidare le scelte politiche in modo consapevole e informato. È quindi sulle complesse relazioni tra i dati e il policy making che abbiamo basato l’intervista all’assessora alla mobilità. 

L’importanza e la presenza dei dati nella comunicazione politica è diventata particolarmente evidente con l’avvento della pandemia da SARS-CoV-2, quando i numeri sono improvvisamente entrati a far parte della quotidianità e dei discorsi pubblici in modo particolarmente intenso. Come ci ricorda Cepparello, «La politica – il Presidente del Consiglio, i capi di Stato, i ministri e le ministre dei vari Paesi – ci raccontavano come stessero maturando delle decisioni che dipendevano completamente dai numeri. Numeri ben precisi».  

Basti pensare ai criteri di valutazione e classificazione del rischio utilizzati nel corso della ripresa epidemica da SARS-CoV-2. Sulla base di numeri specifici (es. numero di ricoveri e di decessi, tasso di positività, incidenza su persone fragili ecc.) dipendeva la collocazione di ogni regione nelle zone bianca, gialla, arancione e rossa. In base a questo, venivano applicate diverse e determinate politiche di regolamentazione per il contenimento del contagio. 

Tuttavia, l’assessora evidenzia come l’improvvisa presenza dei dati e dei numeri nella comunicazione politica abbia messo in luce la scarsa maturità dell’opinione pubblica rispetto al tema dei dati. «Sono rimasta molto colpita dal fatto che di fronte a delle chiarissime evidenze scientifiche ci fossero atteggiamenti negazionisti. E non parlo dei vaccini, che sono un tema più delicato. Parlo dei numeri dell’andamento della pandemia. Il tipico esempio: “Non è vero che la pandemia sta peggiorando, perché nel mio ufficio stanno tutti bene”». 

Ma non solo: la mancanza di competenze adeguate in tema di numeri e dati si è palesata anche dalla parte politica e istituzionale che li comunicava, in particolar modo in Italia. Questo tema è già emerso nell’intervista alla giornalista ed esperta Donata Columbro, che evidenziava come nel periodo dell’emergenza sanitaria sia mancata sia una spiegazione chiara dei dati alla base delle decisioni politiche, che una metodologia efficace nel raccontarli. 

«Secondo me invece – prosegue Cepparello – l’alfabetizzazione ai dati è un tema molto serio, e la politica ha e deve avere un ruolo importante». L’assessora ci invita a ricordare un episodio in particolare: nell’aprile del 2020, l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel fece una diretta in cui illustrava con un modello matematico perché fosse importante mantenere piatta la curva dei contagi. La sua spiegazione era stata definita da molte persone come una tra le più chiare mai fatte in quel periodo. «Merkel riuscì a spiegare in una maniera molto semplice, ma allo stesso tempo molto rigorosa, che cosa fosse l’RT e perché era importante monitorarlo ai fini delle decisioni politiche».  

Prosegue Cepparello: «Nello stesso giorno, la stessa cosa fu spiegata anche in Italia, in televisione, dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile Angelo Borrelli. Il confronto tra i due discorsi rivelava un approccio completamente diverso. Da un lato quello tedesco molto asciutto e chiaro; dall’altro quello italiano, che risultava più paternalistico e meno informativo, oltre che meno chiaro dal punto di vista scientifico». Questo è un piccolo esempio che ci ricorda come la cultura del dato sia importante e ci sia ancora tanto da fare in Italia: «Avendo vissuto in Nord Europa, in Olanda, ho personalmente constatato questa differenza. Mi ha colpito come i dati siano molto più presenti nel dibattito e nell’opinione pubblica». 

I rischi e le difficoltà 

Senza una buona base di cultura del dato risulta difficile trasmettere l’importanza dei numeri all’opinione pubblica cittadina. La comunicazione tramite i dati inizia ad essere diffusa e valorizzata nell’ambito del dialogo dell’amministrazione con consulenti, professionisti o persone interessate e sensibili al tema, ma presso la cittadinanza risulta ancora una questione problematica. Come ammette l’assessora: «Io incontro molta difficoltà a veicolare l’importanza dei dati all’opinione pubblica cittadina. È molto difficile trasmettere al cittadino il metodo di lavoro che è alla base di certe decisioni». 

Un esempio proviene dalla metodologia che si sta utilizzando presso il Comune di Livorno per interventi di moderazione della velocità. «Come scegliamo dove fare queste infrastrutture? Ci basiamo sulle tavole dell’incidentalità, grazie al lavoro meticoloso dei nostri tecnici che individuano i punti più incidentati tramite la georeferenziazione dei sinistri stradali. Sarebbe più semplice scegliere basandosi sulle segnalazioni dei cittadini, sulla loro percezione o su quanto è pressante la richiesta da parte loro. Sarebbe più facile da un certo punto di vista, ma anche sbagliato, andare ad intervenire solo laddove è presente una comunità particolarmente attiva che lo chiede con più forza. Dobbiamo quindi sforzarci di intervenire laddove veramente serve». 

Andando ancora più nello specifico: «Abbiamo avuto alcuni problemi presso un cantiere perché un gruppo di cittadini chiedeva a gran voce di spostare leggermente un attraversamento, perché secondo loro sarebbe stato più adatto e meno pericoloso. L’analisi di incidentalità dimostrava tuttavia che quell’attraversamento non era mai stato teatro di sinistri, e il punto su cui intervenire era un altro. Questo è un esempio molto semplice ma molto chiaro sulle difficoltà di trasmettere il metodo di lavoro, e sul perché le decisioni si devono basare sul dato». 

Figura 1. Esempio di mappa di incidentalità. Fonte Istat, “Rilevazione degli incidenti stradali con lesioni a persone: microdati ad uso pubblico,” dataset ristretto al Comune di Milano, georeferenziazione ed elaborazione a cura di The Submarine.

 

Dall’altro lato, la trasparenza amministrativa porta sempre anche il rischio di mostrare cose che non hanno funzionato. «Succede anche che a seguito di un’azione amministrativa i dati mostrino che non ha funzionato bene. Ma anche questo fa parte del gioco. Anzi, secondo me è una forma di grande attenzione alla democrazia nel senso più alto». È una sfida difficile, che porta tuttavia anche a ragionare insieme alla cittadinanza sulle cause dei malfunzionamenti e sulle soluzioni da mettere in pratica per risolverli. 

Cepparello in questo senso cita Karl Popper: «Il filosofo parlava di quanto la democrazia, per essere tale, debba essere controllabile dai cittadini. Se noi non diamo al cittadino dei dati buoni, onesti, leggibili e trasparenti, non gli diamo nemmeno lo strumento per controllare chi lo governa. Quindi, di conseguenza, per decidere in modo consapevole e informato». 

La cultura del dato come strumento di empowerment 

Tornando al ruolo che la politica ha e deve avere nell’alfabetizzazione ai dati, Cepparello ribadisce che si tratta di un tema profondamente serio: «Non soltanto perché la politica si deve necessariamente basare sui dati. Ma anche perché la politica deve, secondo me, promuovere una sorta di empowerment presso la cittadinanza. Deve riuscire a fornire alle persone gli strumenti per leggere la realtà in maniera più chiara e consapevole. E questo è un compito alto della politica».  

Una cultura del dato promossa ed applicata a livello politico si trasmette infatti anche alla cittadinanza: «Il cittadino o la cittadina a cui vengono dati degli strumenti per leggere la realtà, strumenti scientifici e solidi corroborati da una comunità internazionale, sarà a sua volta in grado di orientarsi meglio anche nelle proprie decisioni. Per questo penso che dovrebbe diventare più frequente nella comunicazione politica». 

consultare i dati

In questo senso è fondamentale riuscire a costruire una buona comunicazione sui dati, in modo tale da trasmettere in modo efficace il concetto che le decisioni politiche nascono sulla base di motivazioni tecniche molto forti, «e non da chi, come si dice da noi, ti tira più forte la giacchetta». 

Le campagne di comunicazione dell’amministrazione, ad esempio del PUMS, vanno sempre più a braccetto con i dati. «È molto importante che il cittadino o la cittadina sappiano che, dopo l’istituzione di una Zona30 con infrastrutture dedicate, nell’arco di un anno c’è stata una riduzione degli incidenti. Questi dati sono motivanti e aiutano le persone a rendersi conto di quanto il dato sia una base indispensabile per prendere una decisione». Il potere e l’efficacia dei dati si ritrova ad esempio nell’ambito della raccolta differenziata: «Le persone spesso non comprendono la ragione per cui vengono imposte delle strategie di raccolta dei rifiuti più complesse, come ad esempio il porta a porta. Tuttavia, non appena si mostrano i dati che stanno alla base di questa decisione, comprende immediatamente. Ad esempio, con il porta a porta i dati mostrano che la percentuale di rifiuti differenziati si alza immediatamente del 30 o anche del 40%. In questo caso, il dato diventa una leva fondamentale per motivare il cittadino, o facilitare l’accettabilità di una precisa politica». 

Un altro esempio si ritrova di nuovo negli interventi indirizzati alla sicurezza stradale. «A Livorno abbiamo un viale molto incidentato. È molto interessante vedere, grazie ad una mappa georeferenziata dei sinistri stradali, come i punti incidentati diventino via via sempre più radi man mano che noi interveniamo». Strumenti accattivanti e intuitivi quali mappe e dati ben comunicati possono non solo fungere da leva per l’empowerment, ma anche colmare la distanza tra cittadinanza e amministrazione: «Questo delle Zone30 è un caso molto facile e immediato. Si tratta di informazioni che, se ben comunicate, aiutano sicuramente il cittadino ad acquisire una consapevolezza maggiore e a ristabilire una fiducia verso le istituzioni, che è una missione importantissima in questo momento». 

Ed è proprio qui che la politica si fa protagonista dell’empowerment, incarnando e trasmettendo una cultura del dato. «Promuovere l’intelligenza collettiva, e non la superficialità collettiva, è un compito della politica. Purtroppo, però, a volte si va proprio nella direzione opposta». 

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