

Pochi giorni fa è stato pubblicato dal MIMS il report “Mobilità e logistica sostenibili. Analisi e indirizzi strategici per il futuro”. Il documento pone le basi per l’orientamento delle politiche di mobilità dei prossimi anni, grazie ad una approfondita analisi della situazione italiana. In questo articolo ci focalizzeremo su un aspetto in particolare: la mobilità delle zone di provincia.
Nei piccoli comuni periurbani vive oltre la metà della popolazione italiana, ed è proprio qui che si origina la maggior parte degli spostamenti. Con questo approfondimento intendiamo portare l’attenzione su queste aree e sulla loro mobilità, nel tentativo di condurle al centro del dibattito grazie ai dati a disposizione.
Mobilità in Italia: nuovi approcci e risultati nel report del MIMS
Il report “Mobilità e logistica sostenibili. Analisi e indirizzi strategici per il futuro” [1] pubblicato dal MIMS offre una approfondita analisi su diversi aspetti del settore della mobilità. Dalla mobilità delle persone a quella delle merci, il report si sofferma sulla sostenibilità ambientale e sociale del settore, senza dimenticare la rivoluzione tecnologica e il rapporto tra stato e mercato. Non manca, inoltre, un interessante focus sulle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici del settore.
Il documento si pone come una solida base per orientare le future politiche per la mobilità in Italia. Contiene dati, analisi e metodi innovativi per l’elaborazione di linee di indirizzo atte a contribuire alla creazione di un sistema dei trasporti orientato alla crescita economica del paese in modo sostenibile, resiliente e inclusivo.
Esso incarna e promuove il principio di piano-processo che, secondo il MIMS, deve essere alla base della pianificazione pubblica. Secondo questo principio la pianificazione dev’essere intesa come un processo dinamico e partecipato in grado di adattarsi all’evoluzione delle condizioni esterne. Come? Grazie ad aggiornamenti effettuati sulla base di un monitoraggio costante dei dati e della consultazione proattiva di tutti i soggetti interessati.
In tal senso, si specifica come una corretta quantificazione e mappatura della domanda di mobilità sia un prerequisito indispensabile per la pianificazione del sistema dei trasporti. Come abbiamo spesso ribadito e approfondito su questo magazine, le nuove tecnologie permettono lo sfruttamento di grandi quantità di dati (big data, appunto) impensabili fino a solo qualche anno fa. La raccolta e rielaborazione delle informazioni provenienti dagli smartphone permettono di ricostruire le traiettorie di spostamento e descrivere le abitudini di mobilità come mai prima d’ora.
Troviamo quindi finalmente in un documento ministeriale il riconoscimento delle enormi potenzialità dei big data per l’orientamento delle decisioni pubbliche, oltre che i risultati derivanti da avanzate metodologie di calcolo e analisi.
Ma che cosa emerge da questi dati? I risultati evidenziano in primis alcune importanti questioni:
- Le persone si muovono molto più di quanto finora stimato;
- Le analisi avanzate permettono di individuare correttamente i bacini di mobilità e quindi di pianificare investimenti, servizi e governance su una base migliore e più vicina alla realtà;
- L’alta velocità ferroviaria genera flussi significativi tra le città da essa connesse;
- La mobilità su cui investire maggiormente per la sostenibilità è quella locale e, in particolare, quella generata dalle aree periferiche delle grandi aree urbane.
Ed è proprio su questo ultimo aspetto che abbiamo deciso di soffermarci, per approfondire un tema spesso trascurato nel dibattito pubblico e nelle statistiche relative alla mobilità: l’ecosistema del periurbano italiano.
Figura 1. Immagine tratta dalla presentazione in sintesi del MIMS
[1]Documento integrale consultabile all’indirizzo: https://www.mit.gov.it/nfsmitgov/files/media/notizia/2022-10/Mims_Mobilit%C3%A0%20e%20logistica%20sostenibili_pag%20singola%20r3_0.pdf . Presentazione sintetica: https://www.mit.gov.it/nfsmitgov/files/media/notizia/2022-10/Mobilit%C3%A0%20e%20logistica%20sostenibili_Sintesi.pdf
Il principale generatore di mobilità: il periurbano
Non esiste una definizione univoca di periurbano, termine che assume sfaccettature diverse sulla base delle diverse discipline, correnti o realtà urbane in cui è applicato. In linea generale si tratta di quelle aree che si trovano al confine tra zone ad alta urbanizzazione e territorio non costruito, e che in Italia si identificano con la grande quantità di piccoli comuni al di fuori delle grandi città. Parliamo quindi della cosiddetta “provincia“, così come delle aree periferiche delle grandi aree metropolitane.
La maggior parte della popolazione italiana vive in comuni di piccole dimensioni: il 56% vive in comuni con meno 10.000 abitanti. È un dato impressionante, se si pensa che è proprio da questi comuni che si genera la maggior parte degli spostamenti, di cui molti privati e motorizzati.
Da un altro punto di vista, il 43% della popolazione vive concentrato all’interno di aree metropolitane (quelle evidenziate in rosso/arancione sulla mappa, Figura 2), quindi inserito in un continuum urbano originato da grandi metropoli “monocefale” come Torino o Roma, o di natura più policentrica come l’agglomerato urbano dato da Milano-Bergamo-Brescia o Parma-Reggio Emilia-Modena-Bologna, visibili sulla mappa.
Figura 2. Le aree arancioni individuano le principali aree metropolitane e urbane. Fonte: Elaborazioni su Istat. Pag. 10 del report sintetico
Come già accennato poc’anzi, secondo i dati analizzati sono proprio queste aree a produrre i maggiori flussi di mobilità, specialmente di tipo privato e motorizzato. Citando il report: “La mobilità è prevalentemente originata dai comuni periurbani che gravitano intorno alle principali città italiane. Questi spostamenti avvengono soprattutto con l’utilizzo dei mezzi privati, in media più inquinanti e vecchi del resto del parco veicolare”.
Le province non capoluogo di regione, ad esempio, hanno mediamente una percentuale di popolazione mobile superiore alle altre (Figura 3). Questo è dovuto probabilmente alle minori opportunità di lavoro e consumo nei loro territori, che porta gli abitanti a spostarsi più frequentemente e su maggiori distanze.
Figura 3. Popolazione mobile. Fonte: Elaborazioni di FS Research Centre su dati Vodafone. Pag. 8 del report sintetico
Difatti, quasi la metà degli italiani lavora in un comune diverso da quello di residenza, ed è una quota in crescita ogni anno: dal 32% del 1991 al 43% del 2021. Basta osservare come si è espanso negli anni il Sistema Locale del Lavoro (SLL) di Roma, che indica i confini del pendolarismo per motivi di lavoro (Figura 4).
È interessante, infine, notare che ci sono differenze anche a livello regionale per quanto riguarda la popolazione mobile. La percentuale di popolazione che si sposta per motivi lavorativi varia da valori prossimi al 70% in Liguria, Puglia, Sicilia e Sardegna a valori intorno all’80% in Lombardia, Veneto, Umbria, Abruzzo e Campania. Si ritrova lo stesso trend guardando il numero di spostamenti per viaggiatore.
Figura 4. Confini del SLL di Roma. Fonte: pagina 9 del report sintetico. Elaborazioni di FS Research Centre sui dati Vodafone; elaborazioni cluster Trasporti; elaborazioni su dati di censimento Istat; Isfort
Ricapitolando: le necessità di oggi
I dati nazionali relativi alla mobilità mostrano, in un’autentica e limpida ammissione, che il livello di sostenibilità ambientale nell’ambito della mobilità è inferiore alle aspettative e agli impegni assunti in sede europea.
Il 62% degli spostamenti avviene con mezzi privati motorizzati, rimanendo una quota ancora troppo alta rispetto ai livelli auspicati. In parallelo, la quota di spostamenti che avvengono con modalità più sostenibili (mezzi pubblici e mobilità attiva) è rimasta sostanzialmente costante nell’ultimo ventennio, mostrando la sostanziale inefficacia degli ultimi vent’anni delle politiche e dei piani di mobilità, come rimarcato nella nostra intervista ad Alessandro Delpiano. Il tutto associato ad un alto tasso di motorizzazione (670 auto ogni mille abitanti al 2020, che ci pone al terzo posto in Europa – Figura 4) e ad un parco veicolare vetusto e inquinante: stando al report MIMS, nel 2021 in Italia il 53% delle auto ha una classe energetica inferiore all’euro 5, e la quota di mezzi elettrici o ibridi è inferiore al 3% (sebbene il nostro ultimo articolo mostri che si tratta di percentuali in crescita e con forti differenze territoriali).
Cosa ce ne facciamo di questi dati? Il messaggio è chiaro: va fatto di più, e va fatto subito. Ma dove agire? Quali strategie mettere in campo? Secondo il MIMS per scoprirlo è necessario investire sulla raccolta e il monitoraggio costante di dati aggiornati e affidabili. L’incertezza e i cambiamenti strutturali nelle abitudini di mobilità rendono più difficili le previsioni sul futuro, specialmente se basate su parametri del passato.
I primi risultati delle analisi del MIMS mostrano che sono tanti i fattori in gioco: il calo demografico o il consolidamento di alcuni fenomeni come lo smart working o la digitalizzazione dei servizi potrebbero ridurre la domanda di mobilità. Allo stesso tempo, il lavoro a distanza potrebbe portare a un aumento degli spostamenti asistematici (ovvero non regolari e ripetuti) dovuto alla flessibilità degli orari di lavoro, e all’ulteriore ampliamento dei bacini di mobilità (più difficilmente governabili) dato da una maggiore preferenza per le aree periferiche nelle scelte residenziali (connessa alla diffusione della possibilità di lavoro da remoto).
… E gli scenari di domani
Tra le linee di indirizzo proposte nel documento del MIMS troviamo una risposta al focus di questo articolo, che d’altro canto segue il fil rouge dei discorsi portati avanti in questo magazine: migliorare la governance della mobilità locale. Questa diventa infatti una priorità, da attuare su diversi livelli.
In primis, governando la mobilità in un’ottica di area vasta, identificata con i reali bacini di mobilità (con il supporto di dati affidabili e di qualità). In secondo luogo, integrando gli strumenti di pianificazione della mobilità con quelli di pianificazione degli insediamenti (residenziali, commerciali, produttivi) per ridurre alla radice le necessità di spostamento. Infine, in coerenza e cooperazione con le prime due, migliorare le analisi della mobilità per una migliore e più efficace programmazione dell’offerta e dei servizi di mobilità.
Il tutto deve essere accompagnato dal ruolo forte che il settore pubblico deve avere per garantire che le opportunità rappresentate dai fondi PNRR (es. investimenti ferroviari) e dallo sviluppo tecnologico (es. MaaS; smart working, smart pricing…) raggiungano anche quei territori che rimangono spesso tagliati fuori dal mercato: i margini, appunto.
Ad esempio, come riportato nel report del MIMS, un’analisi di valutazione dell’impatto della realizzazione della programmazione ferroviaria prevista con i fondi del PNRR porterebbe a una riduzione del tempo medio di viaggio di circa il 17% e della diseguaglianza territoriale in termini di accessibilità ferroviaria del 38%. Rimangono tuttavia alcuni territori strutturalmente caratterizzati da minori opportunità di mobilità: “Laddove questo dipenda da una minore attrattività economica del territorio per gli operatori dei trasporti e/o durante i tempi necessari per la realizzazione degli investimenti infrastrutturali si potrebbe prevedere la definizione di sussidi per possibili servizi aggiuntivi, da allocare tramite meccanismi di gara per compensare in tempi relativamente brevi i deficit di accessibilità”.
Ugualmente, lo Stato deve garantire tramite processi di regolazione e facilitazione l’effettiva diffusione della transizione digitale in tutti i territori, senza distorsioni di mercato. La digitalizzazione e lo sviluppo di servizi innovativi come i sistemi MaaS possono semplificare, ampliare ed integrare le opzioni di accesso ai servizi di mobilità dei cittadini, fungendo da fattore abilitante anche e soprattutto nei territori meno densi e urbanizzati. Su questo è importante citare la Strategia nazionale per le aree interne (SNAI). Si tratta di una politica territoriale diretta al miglioramento della qualità dei servizi e delle opportunità economiche per gli abitanti dei territori interni e a rischio marginalizzazione. La strategia è stata contemplata per la prima volta nel Programma Nazionale di Riforma (PNR) dell’anno 2014 e definita nell’Accordo di Partenariato 2014 – 2020.
Si definiscono come interne quelle aree caratterizzate da una duplice natura. Da un lato una significativa distanza dai principali servizi (salute, scuola, mobilità). Dall’altro, una disponibilità elevata di importanti risorse ambientali (idriche, sistemi agricoli, foreste, paesaggi naturali) e risorse culturali (beni archeologici, insediamenti storici, abbazie, piccoli musei, centri di mestiere). La SNAI ha quindi a sua volta il duplice obiettivo di
- adeguare la quantità e la qualità dei servizi di cittadinanza (salute, scuola, mobilità)
- promuovere progetti di sviluppo che valorizzino il patrimonio naturale e culturale di queste aree, puntando anche su filiere produttive locali.
Non da ultimo, il MIMS riprende e rimarca il tema dell’importanza del monitoraggio: anche in questo caso, assumono grande importanza accordi pubblico-privati per la condivisione dei dati. Una più ampia condivisione di dati (data sharing) con lo Stato da parte dei gestori dei servizi, anche tramite una normativa ad hoc, permetterebbe di aumentare l’efficacia e il tempismo dell’intervento pubblico, “attuando un monitoraggio economico-regolatorio basato su criteri oggettivi, predefiniti e aggiornati sulla base del flusso dei dati acquisiti (data driven regulation)”.
Solo in questo modo, considerando in modo ottimistico la prosecuzione determinata delle politiche attualmente messe in campo, possiamo sperare di avvicinarci agli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di gas climalteranti. E “conservare l’abilitabilità della Terra“, come ci ricorda l’ultimo recentissimo report delle Nazioni Unite.