If you can not measure it, you can not improve it: l’osservatorio MIT sulla mobilità

Prof. Armando Cartenì, esperto della Struttura Tecnica di Missione del MIT

Perché misurare la mobilità? Ad un mese e mezzo dall’evento DataMobility2023, riprendiamo il keynote speech tenuto dal prof. Armando Cartenì, docente presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli ed esperto della Struttura Tecnica di Missione del MIT. Nel suo discorso di apertura il professore ci ha raccontato la genesi dell’Osservatorio della Struttura Tecnica di Missione (STM) del MIT sulle tendenze della mobilità di passeggeri e merci, offrendo al contempo uno stimolo per comprendere l’importanza di misurare le cose al fine di migliorarle, e soprattutto in ambito pubblico, di governarle.

La solitudine dell’analista dati

Chi si occupa di dati conosce bene la frustrazione che si prova nel tentare di trasmettere l’importanza che questi posso avere per governare i processi ed anticipare gli eventi: «Noi abbiamo sempre parlato di quanto è importante misurare la mobilità, ma questo è stato spesso poco compreso e capito fino in fondo».

Qualcosa è iniziato a cambiare con la pandemia da Covid-19: l’improvvisa diffusione giornaliera di dati (ad esempio il numero di contagiati) legati ad un dramma ha creato una maggiore sensibilità in tutta la popolazione, che si è avvicinata ai numeri e alla consapevolezza di come essi potessero «spiegare, spaventare, ma anche curare e trovare delle soluzioni ai problemi».

La frase “If you can not measure it, you can not improve it”, infatti, spiega l’essenza dell’evento DataMobility2023: se non siamo in grado di misurare qualcosa, è difficile – se non impossibile – che riusciamo a governarla, gestirla o migliorarla. «È nell’indole umana cercare di misurare le cose, anche quelle non misurabili: stabilire il punto di partenza, e fissare obiettivi. Da questo stimolo è nata l’avventura dell’Osservatorio della Struttura Tecnica di Missione».

La genesi, infatti, si deve al susseguirsi di avvenimenti e provvedimenti che nel corso del 2020 hanno stravolto la mobilità: dal lockdown alle restrizioni ai movimenti sulla base delle diverse zone. In quel momento, infatti, tutte le aziende di trasporto pubblico sono entrate in sofferenza e a livello ministeriale si sono dovute prendere decisioni circa le modalità per ristorare il settore e approfittare dei fondi a disposizione, anche per migliorare la qualità dei servizi offerti. C’era quindi la necessità di conoscere con esattezza lo stato di salute del trasporto e della mobilità. Ma con quali dati?

I dati che ci sono

Ci si è rivolti in primis alla statistica ufficiale. Quello che si trova è però un quadro statico, aggregato, non aggiornato. «Quando va bene si trovano dati statici di un anno prima. Se si vuole qualcosa di più disaggregato, tipo la matrice del pendolarismo, si torna indietro di dodici anni: un’era geologica fa». Il mondo rappresentato da quei dati non rappresentava più il mondo attuale, specialmente quello post-Covid.

Inoltre, ci si rende conto di un ulteriore problema: la mancanza di integrazione e armonizzazione con le altre fonti dati. Il caso più eclatante, racconta il professore, è quello del trasporto merci. I dati delle diverse fonti sono del tutto contrastanti: i numeri delle merci trasportate nelle sole autostrade sono maggiori di quelli del totale delle merci trasportate nel complesso! (Figura 1)

Figura1

Per quanto riguarda il trasporto passeggeri la problematica non era molto diversa. Gli scarti numerici tra le diverse fonti dati erano a volte più contenuti e altre volte drammaticamente accentuati, con il risultato di non riuscire a dare un quadro chiaro della mobilità pre-Covid.

«Il problema non era tanto il dato sbagliato. Ma che dietro ad ogni stima ci sono ipotesi, metodi di analisi e unità di misura differenti. Questo è uno dei maggiori temi che dobbiamo affrontare oggi: non esiste “il dato della mobilità”, esistono diverse tecniche per misurarlo e ognuna ha pregi e difetti e specifici parametri di analisi. Questi dettagli però si perdono spesso per strada, man mano che si diffondono questi dati allontanandosi dai documenti e database che li hanno introdotti. Si tratta invece di informazioni fondamentali che dovrebbero sempre camminare insieme al dato».

Non solo quindi i dati delle diverse fonti non sanno parlare tra di loro, ma presentano anche un livello di disaggregazione insufficiente per poter fare analisi territoriali o tematiche di dettaglio. «Quando va bene, il dato delle statistiche ufficiali è un dato molto aggregato. Non è diviso per aree territoriali se non in casi eccezionali. Non differenzia classi di distanza, urbano ed extra-urbano, città grandi e città piccole, che hanno modelli di mobilità completamente differenti».

I dati che vorrei

È per questa ragione che nella primavera del 2020 nasce l’avventura dell’Osservatorio del MIT, nato da un’intuizione del prof. Cartenì e della ing. Tamara Bazzichelli della Struttura Tecnica di Missione. La finalità dell’Osservatorio è proprio quella di mettere insieme tutte le fonti disponibili per creare una banca dati coerente e soprattutto aggiornata: «Dati freschi: settimanali, mensili, del mese scorso e non di due o tre anni fa».

Questo viene fatto coinvolgendo i principali player della mobilità a livello nazionale e tutte le Direzioni generali del Ministero, fino ad arrivare a player anche di tipo internazionale come Google ad Apple che – specialmente in periodo Covid – hanno messo a disposizione preziosi dati open source. «Questi dati hanno contribuito in maniera decisiva a monitorare la mobilità, aiutando ad agire per tempo e in qualche modo a prevedere ciò che sarebbe accaduto dopo il primo lockdown».

L’Osservatorio ha quindi prodotto un report che nel tempo si è strutturato, acquisendo sempre più dati nuovi, affinando i contenuti e aumentando le pagine che ad oggi sono quasi 100 e contengono informazioni il più possibile disaggregate per territorio, modo di trasporto, ambito della mobilità e via dicendo.

Il report: pillole di mobilità post-Covid

«La filosofia del report è stata di evitare il più possibile qualsiasi forma di elaborazione e commento del dato, per evitare di influenzare chi legge e alterare la purezza del dato. Ci si è limitati a svolgere qualche piccola operazione di congruenza e armonizzazione dei dati e scrivere poche pagine di executive summary, formulate nel modo più laico possibile».

Il report è strutturato per livello di aggregazione:

  1. Una prima parte descrittiva e aggregata per trimestri: per ogni modalità di trasporto vengono confrontati il trimestre in corso con quello precedente, sia rispetto al pre-Covid (2019) che all’anno precedente, in modo da individuare le tendenze.
  2. Una seconda parte dedicata ai confronti annuali: mostra i cambiamenti nelle abitudini di mobilità rispetto al 2019 per ogni anno e fino all’anno in corso.
  3. Una terza parte, quella più corposa, che contiene le analisi modali territoriali, aggregate a livello nazionale e per singole Regioni, con trend settimanali per tutti gli ambiti in esame.

 

Un esempio: se guardiamo ai traffici autostradali, si vede che nel 2023 sono quasi stati recuperati i livelli del 2019 (Figura 2). È interessante anche l’andamento ponderato dell’offerta degli operatori dell’alta velocità ferroviaria. Guardando il grafico sottostante (Figura 3), si nota come inizialmente l’offerta abbia seguito la domanda, accompagnando il crollo di quest’ultima dovuto al lockdown nazionale. Mentre nella fase di ripresa, è stato l’aumento dell’offerta che ha cercato di guidare e stimolare la domanda. Una domanda che ha stentato molto a crescere fino alla seconda metà del 2022, quando c’è finalmente stata una netta ripresa del settore. La situazione è analoga per la mobilità regionale, dove questo fenomeno è stato ancora più accentuato e dove tuttavia il settore è ancora in forte sofferenza (Figura 4).

 


Figura 2


Figura 3

Figura 4

 

L’Osservatorio ha stimolato anche proficue collaborazioni per innovare fonti dati e analisi. Un esempio è il coinvolgimento del Research Centre di FS, che attraverso l’utilizzo di big data provenienti dai telefoni cellulari forniti da Vodafone, ha fornito una serie di indicatori della mobilità che sono stati confrontati ed integrati con altre fonti dati: mobilità attiva, percorrenza media, spostamenti giornalieri. «Questo ha permesso di affinare ed arricchire i trend della mobilità giorno per giorno, mese per mese, per tutto il periodo Covid. Fino a generare anche delle matrici origine-destinazioni a scala regionale e mappe tematiche allegate in appendice al report».

Alcune considerazioni finali

Alla luce di questa esperienza: che implicazioni possono avere Osservatori come quello MIT?

In primis, contribuire al governo del territorio con input utili per il miglioramento mirato della mobilità. Ma non solo: l’avvicinamento ad indicatori smart contribuisce all’alfabetizzazione della popolazione verso la smart mobility. «Tutti sappiamo che l’e-commerce è sempre più diffuso e utilizzato. Ma in pochi sanno che è aumentato del 300% l’utilizzo di app dedicate alla mobilità rispetto al periodo pre-Covid. Questa è una straordinaria opportunità per la mobilità urbana ed il trasporto pubblico». La transizione digitale è infatti una condizione necessaria per seguire il cammino verso la MaaS, la Mobility as a Service, che prevede l’utilizzo di app telefoniche per acquistare la mobilità come servizio. «Il periodo Covid ha apportato una forte accelerazione di questo tipo di alfabetizzazione, ma dal lato dell’offerta la transizione è ancora troppo lenta».

Figura 5

In secondo luogo, la potenzialità di osservatori come quello del MIT è la creazione di fonti dati attendibili e aggiornate liberamente accessibili da amministratori, studiosi e ricercatori del settore. «L’Osservatorio è in continua evoluzione: con l’ing. Pellegrini, la nuova coordinatrice della Struttura Tecnica di Missione del MIT, stiamo mettendo in campo azioni per potenziarlo. L’idea è quella di generare un prodotto che non sia solo un report, ma anche un database open, sempre più ricco e scaricabile da chiunque. Ma soprattutto, che sia un prodotto “con il MIT” e non “del MIT”: la grande novità sarà infatti quella di un coinvolgimento attivo nel progetto dei principali stakeholders del settore».

Rimangono aperte alcune questioni:

  • I dati sono ancora troppo pochi. La mobilità nazionale, dalle ricostruzioni dell’Osservatorio, ricopre circa il 30% della mobilità giornaliera. Rimane poco monitorata quella locale, che invece ricopre il 70% degli spostamenti
  • Analogamente, la mobilità autostradale (20% della mobilità complessiva) è monitorata in modo molto più approfondito rispetto a quella delle strade urbane ed extra-urbane, che tuttavia riguarda l’80% della mobilità giornaliera
  • Anche la mobilità delle grandi città metropolitane è studiata leggermente più a fondo di quella delle altre città, dove però vive l’87% della popolazione italiana

 

Il trasporto pubblico rimane sicuramente il comparto più debole: non alimenta adeguatamente le statistiche ufficiali, né dal punto di vista dell’offerta né tantomeno della domanda. Permane un paradosso per cui nei capoluoghi di provincia, dove vive il 30% della popolazione, si concentra l’80% dei servizi di trasporto. Evidentemente c’è la massa critica per farlo, ma diventa sempre più urgente indagare la mobilità del restante 70% della popolazione per elaborare soluzioni adeguate e su misura.

Concludendo: «Sicuramente siamo all’alba della stagione della cultura del dato. Noi tecnici ce ne preoccupiamo da decenni, ma è solo ora che la popolazione, le amministrazioni, le aziende iniziano a capire le potenzialità di questo comparto per il governo del territorio. Quello su cui siamo ancora indietro però è lo step successivo: cosa riusciremo a programmare in modo più efficiente grazie alla lettura consapevole del territorio, e soprattutto gli impatti che queste politiche produrranno sulla mobilità. Serve un osservatorio capace di convogliare tutte e tre queste anime: il dato, gli investimenti per la programmazione nazionale e locale e la valutazione degli impatti».

 

Non eri presente a DataMobility2023? Guarda l’intervento integrale:

© L’immagine di copertina utilizzata è The man who measures the clouds di Jan Fabre –  Foto di Stelli – Fotocontest.it

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