I dati non parlano
Il caso dei dati MIT
Elena ColliTravel Behaviour & Communication Account
Fa riflettere il caso dello studio del Senseable City Lab del MIT, ripreso con grande clamore dai media che per giorni hanno recitato: “Limite 30 km/h = più inquinamento”. Come ormai sempre più frequentemente, siamo di fronte a una semplificazione e distorsione di risultati scientifici per adattarsi alle esigenze e agli stili comunicativi dei media contemporanei, da cui emergerebbe che il limite di velocità a 30 km/h comporta un aumento delle emissioni di gas climalteranti e particolato. Ma che cosa ci insegna realmente questa storia (oltre al fatto che no, il limite dei 30km/h non provoca nessun aumento significativo di inquinamento)?
È l’8 luglio quando a partire da un articolo di Rai News iniziano a circolare online, sui social e su altre testate nazionali e divulgative titoli e proclami al grido di «A 30 all’ora si inquina di più». Gli articoli fanno fede a una presentazione di uno studio del rinomato MIT Senseable City Lab sugli effetti che una riduzione dei limiti di velocità da 50 km/h a 30 km/h potrebbe avere sul traffico urbano di Milano.
Il caso in sé nasce non tanto dai risultati dello studio ma da come la divulgazione di questi da parte dei media sia stata parziale e fuorviante. La tanto altisonante conclusione (limite 30 = più inquinamento), infatti, non è mai stata nemmeno menzionata nel corso della presentazione dello studio nell’ambito del Forum dell’Urban Mobility Council da parte dello stesso prof. Carlo Ratti (che anzi mette in evidenza i benefici dell’intervento). Tuttavia ha portato, nei giorni successivi, alla necessità di ulteriori comunicati e dichiarazioni da parte degli esponenti del Senseable City Lab per fare chiarezza su quanto inopportunamente e frettolosamente divulgato dai media: «in venti anni che dirigo il Senseable City Lab del MIT una cosa simile non mi era mai successa» (Carlo Ratti).
Nell’articolo di Rai News, poi ripreso da testate come il Corriere della Sera, TGCom24, Il Giorno e molti altri, si legge che «In caso di applicazione del limite dei 30km/h nell’intero territorio del Comune di Milano, le emissioni di CO2 aumenterebbero dell’1,5%, mentre quelle di PM, particolarmente nocivi per la salute umana, del 2,7%».
Ci sono tre temi innanzitutto:
Come ribadisce Umberto Fugiglando del MIT, «Noi stessi abbiamo dimostrato che l’introduzione delle Zone 30 a Parigi ha impattato positivamente l’attività pedonale ed economico-sociale delle strade coinvolte».
Screen dal progetto Slow Zones
Come dichiara infatti l’esperto del MIT, ribadendo quanto già espresso nella presentazione della ricerca all’Urban Mobility Council, «considerando tutti gli effetti primari e secondari si prevede che l’impatto complessivo della riduzione dei limiti di velocità possa portare ad una riduzione netta dell’emissione dei gas», in linea con i risultati osservati in altre città Europee e smentendo quanto riportato in maniera fuorviante dalla stampa italiana.
Screenshot dell’articolo diffuso da Rai News
La macchina divulgativa deve, al giorno d’oggi, adattarsi ai nuovi meccanismi che dettano la competizione e in ambito giornalistico: adattamenti testuali per la SEO, titoli ingannevoli per incitare al clickbait, semplificazione e brevità per adeguarsi alle abbassate soglie di attenzione.
La cosa notevole, se non grave, è che non è solo la macchina divulgativa (testate, amministratori, politici, professionisti) ma anche la scienza stessa che deve adattare i suoi metodi di disseminazione a questi standard. La produzione di articoli scientifici e report si deve adeguare alle richieste di brevità, elenchi puntati, riassunti di riassunti, con la quasi certezza che nella sovraproduzione di contenuti che caratterizza questa epoca, in pochi hanno il tempo e la capacità di leggere a fondo e ancora meno verificare i dettagli degli studi, in particolar modo i dettagli tecnici e metodologici come le fonti dati utilizzate, le caratteristiche dell’algoritmo applicato, l’ambiente di test impiegato.
La conseguenza è che produrre un comunicato, da parte di figure tecniche, è oggi più complesso e richiede grande attenzione per proteggersi dalle ampie possibilità che i dati comunicati vengano travisati, decontestualizzati, semplificati in titoli fuorvianti o parziali. Facendo ancora una volta parlare il dato in maniera impropria, con la consapevolezza che vige indisturbata la regola “Lo dicono i dati” (a maggior ragione se sono dati del MIT).
E invece il dato non dice nulla da solo: siamo noi a trasmettere specifici messaggi selezionando alcuni numeri invece che altri, aggiungendo interpretazioni soggettive non supportate dai dati, utilizzando specifiche parole o toni, omettendo altri dati o dettagli metodologici.
D’altronde lo confessa anche il prof. Ratti: «Forse potevamo stare più attenti anche noi. […] Quella slide per qualche ragione è finita nella cartellina stampa e i giornalisti hanno fatto il resto… Ripeto: noi avremmo dovuto essere ancora più chiari».
Cosa ci ha insegnato questa storia? Innanzitutto, che i dati da soli non parlano. O perlomeno non parlano la nostra lingua. I dati sono numeri, e sta a noi applicare le giuste regole di interpretazione e comunicazione.
Per chi produce comunicazione tecnica e scientifica, è importante innanzitutto verificare la veridicità delle conclusioni incrociando fonti, monitorando i trend, mescolando punti di vista, fonti dati e metodologie. Nel momento cruciale della sintesi indirizzata al pubblico è fondamentale usare un linguaggio chiaro poco soggetto a interpretazioni e soprattutto cauto qualora si tratti solo di supposizioni e ipotesi e non di correlazioni e causazioni verificate.
Come titola un articolo del Post, “Le notizie fuorvianti fanno molti più danni di quelle false”, poiché contribuiscono alla disinformazione sui social più delle “fake news”, specialmente quando provengono da fonti attendibili (come in questo caso, il Senseable City Lab). Secondo la ricerca citata nel suddetto articolo (peraltro condotta sempre nell’ambito del MIT), infatti, si è scoperto che in epoca pandemica i contenuti relativi ai vaccini, corretti di fatto ma allusivi e fuorvianti, hanno avuto una circolazione molto maggiore rispetto a quelli falsi.
Anche noi, nell’ambito del progetto divulgativo Data Mobility, abbiamo imparato che è necessario prestare molta attenzione nella comunicazione dei nostri dati. Nella nostra esperienza abbiamo notato che nonostante la cura posta in tutti i contenuti che produciamo, i nostri comunicati si trasformeranno puntualmente in titoli clickbait per aizzare le folle inferocite sui social e creare engagement o, ad esempio, trarre conclusioni affrettate per screditare certe misure notoriamente impopolari (sosta tariffata, ZTL, zone 30).
Nel redigere report e nei comunicati, abbiamo dunque imparato che serve misurare con sempre più cura le parole, evitare fraintendimenti, non esprimere virgolettati di cui non si è certi, non usare termini ambigui. Se da un lato risulta più prudente mettere semplicemente a disposizione i grafici grezzi consultabili senza nessuna interpretazione di sorta, dall’altro si riduce in questo modo il confronto, il dibattito, l’accessibilità dei risultati prodotti, che è uno dei principi guidanti del progetto.
Succede che talvolta semplicemente accettiamo il rischio, sapendo che per quanto si faccia attenzione, i dati saranno comunque interpretati e distorti da ogni testata secondo le intenzioni e le preferenze di ognuna. E quindi un calo negli spostamenti in auto del 12% comunicato con Data Mobility 2023 si trasformerà in “le grandi città abbandonano l’auto”, un calo del 7% nella velocità media delle città metropolitane contenuto in Data Mobility 2024 diventerà “Italiani imbottigliati nel traffico”, e via discorrendo.
Iperbole: titolo relativo ai dati Data Mobility 2023 (calo degli spostamenti in auto del 12%)
Altre iperboli e distorsioni: alcuni dei titoli per i primi risultati di Data Mobility 2024
Questo ci invita dunque, non solo chi produce informazione ma anche chi legge, a non trascurare l’effetto delle notizie vere ma parziali e fuorvianti, che possono portare a errori comunicativi molto gravi. Magari proprio nel corso di queste vacanze, proviamo a fare più attenzione alla citazione delle fonti, ad approfondire gli studi originali ripresi dagli articoli, a scovare i piccoli errori, le iperboli e le omissioni. Perché non importa quanto valido e impeccabile sia lo studio (e quindi il dato): va posta estrema attenzione al fact-checking proprio negli articoli divulgativi, perché la missione della scienza si compie realmente quando raggiunge la grande platea ed i decisori politici (quindi quando viene comunicata bene e compresa). La fatica, l’impegno e l’impeccabilità di ogni studio possono sfumare proprio in quell’ultimo fondamentale passaggio in cui si gioca tutto, ovvero quando i dati vengono fatti, appunto, parlare.
[1] Abstract della ricerca consultabile qui
[2] Da un post di Andrea Colombo, esperto strategico di mobilità sostenibile, spazio pubblico e ambiente della Fondazione Innovazione Urbana di Bologna.
[3] G. Yannis & E. Michelaraki (2024) “Review of City-Wide 30 km/h Speed Limit Benefits in Europe”, Sustainability, 16(11), 4382. https://doi.org/10.3390/su16114382
[4] Studio Slow Zones del Senseable City Lab, visualizzazione interattiva consultabile qui