I big data nella pianificazione dei trasporti

Intervista ad Ernesto Cipriani
01Siamo tutti ingegneri del traffico? 02Con i Floating Car Data si riducono i gap 03Modellizzare gli spostamenti 04Nuove skills per i futuri ingegneri

«Una delle conseguenze della pandemia è che la scienza dei dati ha fatto grandi passi in avanti, specie nella percezione del cittadino comune. Un’accelerazione molto rapida avvenuta grazie alle tecnologie digitali di cui oggi disponiamo».

Autore di oltre settanta pubblicazioni sul tema dei Big Data e dei modelli di trasporto, Ernesto Cipriani è professore ordinario di Ingegneria dei Trasporti all’Università Roma Tre. «Come eredità del Covid – spiega partendo dall’attualità – ci porteremo dietro una maggiore flessibilità sull’orario di avvio delle attività lavorative, commerciali e produttive: considerando le forme ibride di smart working, analizzare la mobilità cittadina in un intervallo temporale più ampio è una delle sfide che ci aspettano».

01Siamo tutti ingegneri del traffico?

Rimettere i numeri al centro del dibattito aiuta senz’altro a diffondere la cultura del dato in maniera più oggettiva. Nel valutare gli impatti del traffico, rispetto ad esempio al progetto di un’opera pubblica, i cittadini, le imprese e gli amministratori iniziano a considerare i big data come elemento imprescindibile per capire il valore reale di studi e statistiche. Dice Cipriani: «Fino a un po’ di tempo fa ogni italiano, oltre a sentirsi l’equivalente di… un commissario tecnico della Nazionale di calcio, si auto-percepiva ingegnere del traffico snocciolando la propria personale esperienza di mobilità. Oggi si comincia a intuire, anche grazie a piattaforme ed eventi come quelli organizzati da Go-Mobility, che servono sia i macro-numeri che i dati più approfonditi e dettagliati. È un po’ quello che è successo ai virologi per la pandemia: ci si confronta su analisi specifiche per descrivere la complessità e supportare le diverse opinioni. Per noi ingegneri del traffico, il fatto di lavorare su ambiti evidenti a tutti ci rende ancora più responsabili ed esposti al giudizio sul nostro operato».

02Con i Floating Car Data si riducono i gap

Per aiutarci ad avere un quadro più esaustivo degli scenari che ci aspettano, insieme alle tradizionali tecniche di monitoraggio ci si affida sempre di più ai dati raccolti da veicoli-sonda che navigano nella corrente veicolare. «I Floating Car Data – spiega il professore – sono dati che provengono dalle On Board Unit (OBU) installate, per lo più a scopi assicurativi, su veicoli stradali. Parliamo quindi di sensori che si muovono nel flusso veicolare, senza la necessità di installazioni aggiuntive lungo la sede stradale. A differenza dei dispositivi fissi, la tecnica FCD consente di ottenere informazioni più affidabili sui viaggi in termini di lunghezza dei percorsi e di tempi di percorrenza, oltre che sulla loro origine e destinazione: è ovvio quindi che il fatto di poter rilevare la posizione e la relativa velocità istantanea, a intervalli regolari sufficientemente ravvicinati, offre, potenzialmente, numerosi vantaggi».

Maggiormente sostenibili dal punto di vista economico rispetto alle altre tecniche di monitoraggio, i Floating Car Data vengono acquisiti in maniera regolare e protratta nel tempo, consentendo la possibilità di eseguire analisi di tendenza. Potendo fornire il vantaggio di copertura dell’intera rete stradale, questa tecnologia non solo richiede minori oneri per la manutenzione, ma sopperisce ad alcune limitazioni tipiche dei sensori fissi. «Questa tecnologia presenta caratteristiche spesso complementari rispetto a quelle di altre tipologie di sensori tradizionali: nel complesso, i dati acquisiti sono eterogenei e, potenzialmente, fra loro integrabili. A questo dobbiamo aggiungere che la modellistica dei sistemi di trasporto basata sui FCD si dimostra più efficiente nell’analizzare rapidamente alcuni eventi specifici, come gli incidenti stradali o gli spostamenti di massa. Con i miei studenti insisto spesso sull’importanza di integrare queste fonti con altre tipologie di dati che potremmo definire “parenti” dei Floating Car Data. Sto parlando della grande quantità di dati provenienti da telefoni cellulari all’interno dei veicoli guidati: grazie alle varie applicazioni (sul traffico e non solo) con le quali possiamo accettare di condividere la nostra geolocalizzazione, i dati provenienti dagli smartphone sono di fatto analoghi e complementari a quelli dei veicoli-sonda».

Tramite i nostri telefoni cellulari all’interno dei veicoli guidati, produciamo quindi dati essenziali per le informazioni sul traffico (velocità, direzione di viaggio e non solo) e per i sistemi di trasporto intelligenti. Basandosi su questi dati, si possono identificare congestioni e ingorghi, calcolare tempi di viaggio e creare rapidamente report sul traffico. Rispetto alle telecamere, ai sistemi di riconoscimento della targa e alle spire magnetiche poste sull’asfalto stradale, nel caso dei FCD non è necessario porre lungo la rete viaria alcun hardware addizionale. Spiega Cipriani: «Sono in aumento gli investimenti nella ricerca sulle funzionalità dei Floating Car Data e di tecnologie simili. Penso alle antenne bluetooth, installate su alcuni corridoi di scorrimento nelle grandi città, che intercettano il segnale bluetooth dei telefonini e del sistema di vivavoce a bordo auto. Se pensiamo che i dispositivi con bluetooth attivo consentono attualmente di intercettare, secondo alcune stime prudenziali, circa il 30% dell’intero parco circolante, risulta evidente come con questi dati riusciremo a rilevare le grandezze fondamentali (quali, ad esempio, velocità media, tempo di percorrenza, e quindi, eventuali rallentamenti) di un campione di veicoli molto ampio».

03Modellizzare gli spostamenti

Oltre a fotografare sempre meglio l’esistente, un ingegnere che si occupa di mobilità deve immaginare, sulla base di modelli, che generi di scenari potranno verificarsi in futuro. Tra i diversi modelli di simulazione, è di grande interesse parlare degli Agent Based Model. Impiegati da economisti e ingegneri, risultano altamente efficaci in quanto ogni elemento di un sistema viene rappresentato come un “agente”. Accomunati a questi spesso gli ingegneri trasportisti possono disporre degli Activity Based Model che mirano a rappresentare ogni individuo della popolazione come caratterizzato da un set di attributi che ne governano le scelte, e ne descrivono in modo dettagliato il comportamento in termini di diario degli spostamenti giornalieri.

Nell’ambito dei trasporti, l’utilizzo di un ABM per lo studio degli spostamenti, fra cui quelli che interessano il traffico stradale, rappresenta la scelta più naturale per la schematizzazione del traffico reale: ogni elemento infatti simboleggia un reale utente che effettua uno spostamento lungo la rete stradale e può interagire con l’infrastruttura. «Lavorare con questa tipologia di modelli – dice il professor Cipriani – è un salto concettuale molto forte perché il livello di dettaglio diventa più spinto, specie in sistemi complessi come quello delle grandi metropoli. Questa tipologia di modelli può beneficiare di dati provenienti da FCD e andare così a modellizzare la domanda di trasporto dell’intera popolazione. Il dato da solo, infatti, non ci dice nulla sugli scenari di progetto. Ai futuri laureati spiego spesso che basare tutto sui dati rappresenta una limitazione; è necessario che i dati, descrittivi della realtà corrente, permettano la messa a punto di avanzati modelli di simulazione con i quali prevedere le scelte che le persone compiono quando si trovano di fronte ad uno scenario nuovo, di progetto, diverso da quello esistente. Quali sono le modalità di trasporto utilizzate e lungo quali percorsi: sono queste le prime domande alle quali dobbiamo cercare di rispondere».

Nell’ambito degli Activity Based Model ritroviamo le attività svolte da un cluster di persone, i luoghi e gli orari che caratterizzano quelle attività, le modalità di trasporto e i percorsi scelti per spostarsi tra due attività successive. «Sono convinto – aggiunge Cipriani – che modellizzare gli spostamenti in ambito urbano sia un processo fondamentale per pianificare e gestire i sistemi di trasporto. Solo così possiamo sviluppare strategie per limitare problemi di congestione del traffico urbano e supportare la gestione della viabilità in occasione di emergenze o eventi speciali. Devo ammettere che in Italia la cultura trasportistica continua, nella maggior parte dei casi, a sottovalutare gli enormi vantaggi, economici e sostenibili, che si ottengono nel lavorare con metodologie di questo respiro. Fino a quando gli investimenti saranno prevalentemente destinati alla sola realizzazione delle opere civili o alla sola fornitura di materiale hardware nei sistemi tecnologici, senza preoccuparsi della logica di funzionamento del sistema realizzato né della sua efficacia per la popolazione, le strategie di progettazione e pianificazione saranno sempre incomplete. Si tratta di una forma di miopia di chi ritiene, erroneamente, di conseguire comunque il risultato con costi ridotti, trascurando, in realtà, fasi ed elementi fondamentali per il successo di un progetto.

Basta guardare alle tipologie di spesa: si continua a investire cifre enormi prevalentemente per l’hardware delle tecnologie, pur a fronte di piattaforme web che, in alcuni casi, stentano a restituire risultati concreti ed efficaci. All’estero, per esperienza, ho constatato maggiore attenzione a questi aspetti nell’immaginare le città del presente e del futuro. In Italia purtroppo il cambiamento è lento, ancora si stenta a riconoscere e a retribuire adeguatamente il lavoro intellettuale, tutta quella capacità di analisi del dato e di costruzione di scenari complessi che ci rende tra i migliori al mondo».

04Nuove skills per i futuri ingegneri

Il dialogo con il professor Cipriani scivola inevitabilmente sul tema delle competenze richieste anche a livello normativo. «In maniera rilevante fino al decennio 2000-2010 le procedure per supportare progetti di infrastrutture e analisi di fattibilità ci hanno penalizzato: è giusto dire che a livello normativo gli ambientalisti sono stati più bravi a imporre una cultura per regolare il settore delle infrastrutture. Ora le cose stanno un po’ cambiando, ma se ripenso a quel periodo ricordo che nei progetti sulle infrastrutture noi ingegneri dei trasporti venivamo chiamati per aiutare a redigere le valutazioni di impatto ambientale e non come esperti nel settore trasportistico! Quando guardo ai miei studenti, alla futura generazione di ingegneri della mobilità, penso che la spinta del digitale li aiuterà ad affermarsi anche in Italia, visto che all’estero noi italiani già siamo considerati un’eccellenza nei team di progetto. Nella mia esperienza di consulente in Qatar – dove abbiamo sviluppato un importante progetto di analisi e previsione della domanda di trasporto – ho avuto la riprova che i miei connazionali avevano delle skills fondamentali per la riuscita dell’operazione. Oltre alla preparazione tecnica, parlo di creatività, inventiva, flessibilità umana che ci consente di far fronte a difficoltà inaspettate. Per questo spingo molto nel mio Dipartimento per aumentare i corsi dove gli ingegneri civili e quelli informatici trovino una sintesi e un punto d’accordo per procedere insieme, in un quadro di analisi più ampio grazie anche alle potenzialità del digitale. Nel 2021 non possiamo più permetterci di avere un ingegnere civile che non riesce a gestire una quantità di dati che supera il normale foglio Excel. Se le università, le imprese e le istituzioni pubbliche riusciranno a colmare questo gap di competenze, a rendere istituzionale e non casuale questo processo di formazione, allora ci faremo trovare pronti alle sfide incredibili che ci attendono da qui ai prossimi decenni. E finalmente riusciremo a dare spazio a quelle migliaia di giovani nostri connazionali, preparatissimi e apprezzati in mezzo mondo, che per il momento si vedono costretti a “fuggire” all’estero con il loro know-how che qui abbiamo formato».

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