E se il futuro fosse la MaaF?

#TalkWithGO: intervista a Matteo Antoniola

Nel mondo dei trasporti, la sigla “MaaS” è diventata una buzzword ad uso e consumo di esperti, operatori di trasporto e amministrazioni. Ma quali sono le sue declinazioni concrete, e dove ci possono portare? Ne abbiamo parlato con Matteo Antoniola, Business Strategy Manager a 5T e uno dei massimi esperti di MaaS in Italia. Con lui abbiamo voluto approfondire lo stato di salute della MaaS ed esplorare le sinergie di questo settore con l’AI generativa. Ma quali sono le sue declinazioni concrete, e dove ci possono portare?

In questo articolo, una panoramica lucida e schietta della Mobility as a Service e delle sue possibili evoluzioni, a partire dal nuovo concetto di MaaF. La conversazione si inserisce nella rubrica #TalkWithGO, dedicata alla condivisione di esperienze e conoscenze per superare le sfide comuni nel campo delle connessioni tra mobilità sostenibile e intelligenza artificiale.

Il dato è importante, ma cosa ce ne facciamo?

Nel settore della mobilità così come in molti altri settori, si è acceso il dibattito e la consapevolezza attorno al dato. Ma quello che manca è un ragionamento di sistema: tutti parlano dei dati, ma chi si occupa a dare una direzione a tutte queste informazioni? Antoniola parte con una provocazione: «In questo momento c’è un accanimento sul tema del dato: la priorità è raccogliere dati, renderli accessibili, standardizzarli. Tutto questo, però, senza aver necessariamente capito di cosa si tratta, e soprattutto per quale scopo. Sarebbe importante, invece, parlare di più di che cosa farsene di tutti questi dati: specialmente chi deve governare le dinamiche di mobilità».

In questo momento il MaaS è un settore trainato dall’industria, quindi dalla necessità di fare business. Chi raccoglie i dati sono soggetti diversi con interessi ed obiettivi diversi. Ma chi pensa a cosa farne realmente di questi dati, come progetto di servizio pubblico urbano?

Il MaaS non dovrebbe essere ridotto a mero abilitatore tecnologico per la prenotazione di servizi. Continua Antoniola: «Per pensare ai servizi devi conoscere la domanda. Per conoscere la domanda devi conoscere e profilare i comportamenti e le preferenze. Si tratta di un tipo di dato che oggi gli operatori di trasporto riescono ad utilizzare solo in piccola parte, perché non è ancora nella loro consuetudine. Tantomeno in quella della pubblica amministrazione».

Lo stato di salute della MaaS

Come ci conferma Antoniola, sul tema della MaaS ad oggi c’è più consapevolezza e informazione rispetto a qualche anno fa, quando se ne iniziava a parlare diffusamente ma con scarsa conoscenza. «Ora che il mercato ha cominciato a svilupparsi, il tema inizia ad essere approcciato più seriamente anche dal settore pubblico. In questo ha avuto sicuramente dei meriti il programma MaaS4Italy, il primo tentativo di accompagnare la trasformazione MaaS con una regia pubblica». Si tratta di una sperimentazione che, secondo Antoniola, ha messo in evidenza le difficoltà, ma ha anche aiutato a rompere gli indugi e sviluppare nuovi operatori MaaS. Ovvero intermediari, aggregatori e rivenditori di servizi di mobilità di terze parti come ad esempio UnipolMove City, ACI Sara GO!, WeTaxi, che si sono affiancati a quelli già esistenti (MooneyGo, Urbi, Tabnet e altri).

Tuttavia, ad oggi, il MaaS è ancora una cosa per pochi: «Nessun operatore ha raggiunto masse critiche importanti in termini di utenti registrati, utenti attivi o viaggi effettivamente acquistati e fruiti tramite le piattaforme di aggregazione». Anche uscendo dai confini italiani, la situazione non è migliore: «Persino a Berlino la famosa app di aggregazione Jelbi, prodotta dal servizio di trasporto pubblico, riesce a portare volumi al massimo intorno al 5%».

Questo 5% rispecchia effettivamente la quota media di viaggi intermodali che si registrano mediamente nelle analisi prodotte da GO-Mobility, Si può quindi intuire che il MaaS interessa attualmente quella fetta di popolazione che già oggi è abituata a spostarsi con una combinazione di mezzi. Una fetta che rappresenta una percentuale da sempre modesta, sorpassata da una maggioranza che si sposta perlopiù secondo una mono-modalità “point to point” meno complessa. Abitudine diffusa anche per via di una rete di trasporto nazionale che non è mai stata ripensata in chiave intermodale, con sovrapposizioni di linee ferro-gomma o tra linee stesse.

La spiegazione che si dà Antoniola rispetto alla fatica del servizio MaaS a prendere piede è che i tempi non sono ancora maturi: non tanto per mancanza di dati o risorse tecnologiche, quanto per l’utenza. «Non si raggiungono i volumi necessari un po’ perché forse il servizio non è ancora raccontato e compreso bene, un po’ perché stiamo parlando di qualcosa che avrà volumi tra dieci o vent’anni: il target del MaaS sono più i ventenni, che non i cinquantenni. A questi ultimi non possiamo cambiare il mindset necessario a comprendere il valore e la comodità di queste soluzioni, mentre ai ventenni sì».

Ad oggi, quindi, è importante lavorare sulle conferme: offrire a questa base di utenza intermodale la possibilità di continuare le proprie abitudini in modo più facile e immediato, fornendo eventualmente servizi aggiuntivi. Mentre per un cambio di comportamenti più radicale e diffuso sarà necessario catturare le nuove generazioni, specialmente in città: «Nelle aree rurali è comprensibile che rimanga predominante il possesso e l’utilizzo di automobili, ma nelle città non possiamo più permetterci di non avere alternative. Cambiare le abitudini, tuttavia, è un processo lungo: se ora puntiamo a togliere la terza auto in famiglia, tra dieci anni potremo sperare di togliere la seconda auto, e così via. Ma dobbiamo lavorare sui ventenni, che sono la forza lavoro di domani e si spera che faranno scelte diverse dalla maggior parte dei 40-50enni di oggi».

Si tratta quindi di un processo che può rivelarsi più lungo del previsto, e va capito se e quanto gli operatori di mercato sono disposti ad aspettare. Ed è qui che arriviamo al titolo di questo articolo: il MaaF!

Cos’è la MaaF?

Si tratta di una nuova declinazione del concetto di Mobility as a Service, dove la massa critica viene raggiunta grazie all’introduzione della mobilità come componente aggiuntiva di app e piattaforme preesistenti che hanno già milioni di utenti: Mobility as a Feature. Un esempio pratico può essere la segnalazione di un evento tramite Instagram all’utente, che se interessato può comprare il biglietto per l’evento e per il trasporto pubblico direttamente in app. Dice Antoniola: «Il modello per cui l’operatore MaaS nasce, deve aggregare tutti gli operatori di mobilità, cercarsi 100-200 mila utenti… probabilmente è destinato gradualmente a ridursi. Perché si faranno a loro volta rivendere da Instagram, Tik Tok, Amazon e così via. La mobilità può diventare una feature aggiuntiva di altre applicazioni che hanno già milioni di utenti».

Si tratta di uno schema che attualmente ha solo una forma teorica, ma che permetterebbe di superare la complessità e la frammentazione che caratterizzano oggi la MaaS. Si tratta di un ribaltamento del modello di fruizione attuale: non è l’utente a dover aprire un’apposita app per trovare opzioni di mobilità, ma è l’app stessa che mentre tu organizzi le tue attività di lavoro, commissioni o tempo libero ti suggerisce i modi per spostarti e prenota e acquista i tuoi viaggi. «Negli Stati Uniti, Uber fa già una cosa simile: si sincronizza con il tuo Google Calendar e ti ricorda i tuoi appuntamenti proponendoti di prenotare una corsa. O ancora, è Uber stesso a proporti eventi: “Domani c’è una partita allo stadio, ti interessa? Prenota un Uber”. E questo è già MaaF: una piattaforma che offre anche servizi di intrattenimento, integrando le opzioni di mobilità».

AI & MaaS

A questo punto entra in gioco il tema portante della nostra rubrica #TalkWithGO: che peso ha l’intelligenza artificiale nel rendere abilitanti tutti questi processi? È facile immaginarsi che la MaaF dovrà necessariamente basarsi su algoritmi che profilino le nostre abitudini, necessità, preferenze per proporci attività e modalità di spostamento. Ma ad oggi, che rapporto c’è tra l’AI e la MaaS nella sua forma attuale, e come evolverà?

Antoniola ci risponde che considerando lo stato attuale di sviluppo dell’industry MaaS, il ruolo dell’AI è ancora marginale. O perlomeno, è troppo presto perché abbia un impatto notevole: la priorità al momento è farla funzionare: aggregare servizi per produrre un valore che catturi l’interesse dell’utente, e migliorare la user experience, che può ancora evolvere. «Perché il ruolo dell’AI sia realmente rilevante, con applicazioni avanzate, servirebbero investimenti tali per cui forse tutto questo sarà possibile solo se e quando la MaaS sarà dentro piattaforme più grandi, dei giants: basti pensare agli assistenti Google, Alexa, Siri. Probabilmente, sarà attraverso loro che prenoteremo e acquisteremo i nostri servizi di mobilità, non attraverso i singoli operatori locali. Saranno questi ultimi a stipulare contratti con le grandi piattaforme».

Quello in cui l’AI ci può aiutare oggi è la customer care: implementazioni limitate che aiutano ad ottimizzare e automatizzare alcune pratiche di primo livello, alla portata degli operatori MaaS attuali. Come l’esempio, già riportato in questo articolo, di NIC-O, il primo chatbot basato sull’AI generativa e pensato per supportare i cittadini nella navigazione del sito dell’azienda di trasporto pubblico locale.

Ma come si regolano i rapporti tra la parte pubblica e gli operatori privati in questi processi?
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