
Redazione di GO-Mobility
Start Fast, Fail Slow.
Il lato oscuro della pianificazione
Il mondo dei trasporti è spesso caratterizzato dai cosiddetti “megaprogetti”. L’esperienza raccolta da Bent Flyvbjerg nel suo How Big Things Get Done, scritto con Den Garber, parla del rapporto tra i megaprogetti e le strategie con cui sono stati pianificati. Flyvbjerg, esperto nella loro gestione, analizza centinaia di casi reali per identificare i principi chiave che determinano il successo o il fallimento delle grandi imprese.
Lo studio mostra come una lunga serie di grandi progetti infrastrutturali (dai tunnel autostradali alle linee ferroviarie ad alta velocità) siano naufragati dietro la sindrome del “Start Fast, Fail Slow”: una pianificazione affrettata e parziale, spesso spinta da urgenze politiche o entusiasmi tecnici. L’alternativa è nota, anche se meno popolare: pensare lentamente, agire velocemente. Un approccio che in GO-Mobility abbiamo compreso e assorbito in anni di esperienza: investire tempo e rigore nella fase di progettazione richiede tempo, che viene ripagato da una più fluida e rapida messa a terra delle idee progettuali in fase di attuazione. Nella pratica, significa procedere con decisione solo quando il quadro è completamente chiaro: vediamolo nel dettaglio.
Il paradosso dei megaprogetti
C’è un fenomeno sistematico e non casuale che riguarda tutti i megaprogetti ed è ciò che Flyberg definisce la “Legge ferrea dei megaprogetti” (iron law of megaprojects): la tendenza a superare il budget e/o i tempi stabiliti caratterizza il 92% dei megaprogetti. In particolare, si tratta di tre elementi:
- sforamenti di budget rispetto ai costi previsti;
- ritardi rispetto ai tempi di realizzazione preventivati;
- performance inferiori alle aspettative.
In questo campo, i progetti di infrastrutture di trasporto – autostrade, ferrovie, metropolitane, aeroporti – sono spesso i peggiori. Il settore soffre della sottostima sistematica dei costi e della sovrastima della domanda, causate da bias cognitivi, incentivi politici e una cattiva pianificazione. Nel testo si evince che, in media, i costi delle infrastrutture di trasporto sforano del 33%.
Il libro di Flyvbjerg elenca molte “sindromi” che affliggono le grandi opere, un tema a noi caro. Come abbiamo infatti affrontato nell’articolo “Di fronte alle nostre scelte”, il bias cognitivo dell’ottimismo irrealistico porta i decisori a sottostimare i costi e i tempi, sovrastimando i benefici.
Quali sono le cause più comuni di questo bias?
- Sottostima dei costi reali: gli studi di fattibilità presentano numeri ottimistici e i promotori hanno interesse a minimizzare i costi per ottenere il via libera;
- Sovrastima della domanda: le proiezioni di utilizzo sono eccessivamente elevate, con ipotesi irrealistiche sul numero di utenti o passeggeri;
- Decisioni politiche irrazionali: i progetti vengono spesso lanciati senza un’analisi rigorosa, principalmente per motivi elettorali o per visibilità politica;
- Mancanza di modularità: la costruzione di grandi infrastrutture avviene in modo troppo personalizzato, senza sfruttare modelli standardizzati, testati e scalabili.
Think Slow, Act Fast
L’errore che accomuna questi fallimenti è partire troppo presto con l’esecuzione senza avere una strategia solida. Un principio chiave per il successo dei megaprogetti, infatti, è dedicare più tempo alla fase di pianificazione (Think Slow) e, solo una volta che il piano è solido, eseguire rapidamente (Act Fast).
Chi, come noi, lavora nel campo della pianificazione dei trasporti e della mobilità sa bene quanto sia importante la messa a punto di un quadro conoscitivo approfondito e la definizione di un piano metodologico operativo ben strutturato. Che sia un PUMS o uno studio di fattibilità per un’opera infrastrutturale, ogni piano e progetto si cala in un sistema territoriale, culturale o demografico diverso dai precedenti. Non esistono “taglie uguali per tutti”: ogni sistema e tematica ha necessità di essere studiata a fondo, dedicando tempo all’analisi dettagliata del contesto, al dialogo con gli attori interessati e alla pianificazione di ogni attività.
Ogni progetto è più solido quando è partecipato: il nostro approccio alla progettazione e ai processi partecipativi, in poche slides illustrate
La logica è sempre la stessa: evitare approcci monolitici e privilegiare soluzioni modulari, basate su evidenze e sulla capacità di prevedere e valutare scenari. Da non sottovalutare, in questo senso, anche l’analisi dello scenario peggiore (worst-case scenario), spesso trascurata a favore dell’ottimismo irrealistico. Flyvbjerg consiglia di guardare sempre ai progetti simili realizzati in passato, assumendo che i problemi che si sono presentati in maniera ricorrente probabilmente si ripeteranno.
Attenzione alle sindromi più comuni
Per citare di nuovo le sindromi, l’autore mette in guarda su quelle più comuni relative ai megaprogetti.
La Sindrome del Grande Progetto (Big Design Syndrome) si riferisce all’errore di voler realizzare un progetto troppo ambizioso e complesso fin dall’inizio, invece di adottare un approccio modulare. I progetti più riusciti sono quelli che iniziano in piccolo e crescono nel tempo. Un esempio virtuoso è la metropolitana di Copenaghen, costruita in fasi modulari e con un approccio progressivo.
La Sindrome di Hollywood o Star Wars Effect riguarda l’idea che un progetto abbia più successo se è iper-innovativo e scenografico invece di usare soluzioni collaudate. L’innovazione è positiva, ma se si sperimentano troppe cose nuove contemporaneamente, aumenta il rischio di fallimento. Esempio: il celebre progetto Hyperloop di Elon Musk, un sistema futuristico di trasporto ultraveloce in tubi a bassa pressione, prometteva una mobilità rivoluzionaria senza aver mai dimostrato concretamente la fattibilità tecnica, economica e operativa su scala reale. Nonostante anni di annunci e investimenti, nessuna versione commerciale è mai stata operativa, e i costi potenziali restano altissimi. Ugualmente, il nuovo aeroporto di Berlino (BER) ha cercato di combinare tecnologie all’avanguardia, architettura iconica e soluzioni mai testate. Il risultato? Con ritardi di quasi 10 anni e sforamenti di costo enormi, è diventato uno dei simboli europei del fallimento da overdesign. Al contrario, un esempio positivo è il Ponte di Øresund tra Danimarca e Svezia, costruito senza ambizioni “esibizioniste” tipiche di architetture d’avanguardia che aumentano costi e tempi senza reali benefici funzionali. Come sostiene Flyvbjerg, l’ossessione per il “design unico” è più tipica del cinema che dell’ingegneria, da cui il nome “Hollywood Effect”, mentre “Star Wars Effect” è un riferimento a uno dei più celebri megaprogetti fallimentari del grande schermo: la Morte Nera.
Tre esempi di megaprogetti: due affetti dallo Star Wars Effect (in alto: Hyperloop e nuovo aeroporto di Berlino) e uno virtuoso (Ponte di Øresund).
La Sindrome Start Fast, Fail Slow ha luogo quando il progetto si inizia con grande fretta per motivi politici o commerciali senza un’adeguata pianificazione. Questo porta a un ciclo di continue revisioni, correzioni e ritardi in itinere. Alcuni esempi italiani che possono essere ricondotti a questa sindrome? I lavori della Linea C della metropolitana di Roma sono iniziati nel 2007 con un cronoprogramma ottimistico che prevedeva l’apertura completa entro il 2011. Ad oggi sono attive solo alcune tratte, e non è ancora completata la parte centrale (San Giovanni–Colosseo–Piazza Venezia). Cos’è successo? Gli scavi sono stati avviati prima della completa indagine archeologica e urbanistica, pur sapendo che l’area attraversa il cuore monumentale della città. Il progetto è stato continuamente riscritto in corso d’opera, con costi lievitati da 3 miliardi a oltre 5. Un altro celebre esempio è l’autostrada Salerno-Reggio Calabria: iniziata negli anni ’60, è rimasta per decenni un’incompiuta cronica, oggetto di interventi frammentari. La riconversione in A2 del 2016 ha richiesto un profondo ripensamento, ma solo dopo anni di manutenzione emergenziale e lavori mai coordinati. Caratterizzata da partenze accelerate e finanziamenti frammentati, spesso senza chiari indicatori di performance, è un esempio storico di fallimento incrementale causato da inizi prematuri e assenza di una governance solida e visione sistemica.
Due esempi di megaprogetti in Italia affetti dalla sindrome Start Fast, Fail Slow: Metro C a Roma e Autostrada Salerno-Reggio Calabria
La Sindrome del Tunnel Vision è invece la tendenza a concentrarsi in modo eccessivamente ristretto su una sola dimensione del progetto – solitamente quella tecnica o ingegneristica – ignorando variabili esterne fondamentali come il contesto politico e istituzionale, le dinamiche sociali e culturali, le implicazioni ambientali o territoriali ed i fattori organizzativi e gestionali che potrebbero comprometterlo. Un esempio riportato da Flyvbjerg è il progetto del Big Dig di Boston, un tunnel autostradale, dove si sono trascurati i rischi di costruzione e i costi nascosti, portando a un aumento di budget da 2,8 miliardi a oltre 22 miliardi di dollari.
Infine, la Sindrome della “Spinta politica”, che riguarda i progetti che vengono lanciati non perché realmente necessari, ma per il loro valore politico o mediatico. In questo caso spesso i costi vengono deliberatamente sottostimati per far approvare il progetto, sapendo che una volta avviato sarà difficile fermarlo (strategia del “fatto compiuto”). Molte Olimpiadi e Mondiali di Calcio sono finiti fuori budget per questa sindrome: le Olimpiadi di Rio del 2016 hanno superato i costi previsti di oltre il 50%; quelle di Parigi del 115%.
Dare forma alle decisioni, senza forzarle
Pianificare bene significa costruire le condizioni perché le decisioni possano maturare in modo informato, trasparente e orientato alla resilienza. Evitando il mito della “svolta epocale” per riconoscere invece il valore della paziente costruzione per fasi, dove ogni passo ha senso solo se è sostenuto da dati affidabili e scenari robusti e condivisi.
Il nuovo approccio alla pianificazione dei sistemi di trasporto, sostenuta da autori quali i proff. Ennio Cascetta, Armando Cartenì, Francesca Pagliara e Marcello Montanino, supera la tradizionale focalizzazione tecnica per proporre un modello decisionale integrato che combina razionalità cognitiva, coinvolgimento degli stakeholder e metodi quantitativi. Questo approccio muove una critica verso lo sguardo puramente ingegneristico che si adotta nell’affrontare la complessità dei sistemi di trasporto. Si sottolinea l’importanza di mettere sullo stesso piano le prospettive sociali e quelle tecniche, integrando le scienze cognitive e gestionali nell’analisi dei sistemi di trasporto ed enfatizzando la necessità di considerare impatti qualitativi, l’utilizzo di un linguaggio accessibile anche ai “non addetti ai lavori”, e strumenti di valutazione ex-post.
In questo senso, fare bene le cose grandi non significa rincorrere la complessità, ma disinnescarla dove possibile. Ed è su questo terreno che si gioca la nostra idea di consulenza: non fornire risposte definitive, ma co-costruire percorsi solidi, misurabili e adattabili.
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