Cosa ci dice un aumento dell’uso dell’auto oggi? E perché potrebbe essere un dato a vantaggio del trasporto pubblico di domani? Supportare enti e organizzazioni nella definizione della mobilità del futuro è il compito di GO-Mobility, che svolgiamo attraverso una profonda immersione nei dati di trasporto. In questa intervista di “Il Sussidiario.net” a Daniele Mancuso entriamo nei meandri di queste domande e delle possibili risposte grazie a una lettura integrata delle diverse fonti a disposizione – specialmente i big data provenienti da FCD e dati telefonici. Iniziamo!
L’intervista
[Il Sussidiario] Cosa dicono i big data sulla mobilità? Il trasporto su gomma – in particolare con auto individuale – la fa ancora da padrone?
[Daniele Mancuso] Sicuramente è quello prevalente, e sta avendo la maggiore espansione a discapito del trasporto pubblico. Ma non sempre: nelle città il trasporto pubblico su tram e metropolitane ha recuperato rispetto al periodo Covid. Si è perso, invece, il pendolare che su una media-lunga distanza prima optava per il trasporto pubblico mentre ora, grazie anche allo smart working e alla sostituzione di molte riunioni in presenza con call online, trova più conveniente l’uso della vettura privata.
Ma perché aumenta il traffico automobilistico se diminuiscono gli spostamenti verso le sedi di lavoro?
Se si deve andare in ufficio solo due o tre volte a settimana, l’auto spesso risulta più conveniente e confortevole rispetto ai mezzi pubblici. Ma soprattutto, lavorare da casa non significa non uscire, anzi: si usa più spesso l’automobile per attività che strutturalmente sono più difficili da intercettare con il trasporto pubblico, come quelle relative a tempo libero, commissioni o spesa. Le abitudini e le esigenze delle persone sono cambiate ed il trasporto pubblico, quindi, fatica a recuperare.
Che tipo di soluzioni innovative avete contribuito a mettere in atto grazie all’elaborazione dei dati sugli spostamenti?
Innanzitutto riteniamo fondamentale, come società di ingegneria che si occupa di pianificazione della mobilità, assottigliare il più possibile il muro dell’opinionismo. Nell’ambito della mobilità ognuno pensa di essere un esperto, anche solo perché si muove con l’auto o utilizza i mezzi pubblici. In realtà le decisioni da cui dipendono gli investimenti per gestire la mobilità di persone e di merci sono molto complesse e hanno sempre sofferto di due grandi mancanze. La prima riguarda le informazioni ex ante, quindi dati strutturati, continui e completi sulle esigenze di mobilità. La seconda riguarda le informazioni ex post, ovvero il monitoraggio di quanto accade a seguito di queste decisioni: una volta presa una decisione, l’amministrazione di turno agisce difendendola a priori come la decisione più corretta.
Qual è il problema in questo secondo caso?
Che si tratta più di una difesa che di una informazione trasparente. I percorsi partecipativi, che hanno preso piede da un po’ di anni nei processi che riguardano decisioni pubbliche, prevedono una costruzione del consenso e del coinvolgimento delle parti interessate che parte già dalle fasi iniziali. Questi percorsi si poggiano su dati affidabili e aggiornati, che vengono raccolti e analizzati in modo condiviso per ricostruire e comprendere la realtà sfatando le leggende metropolitane o i falsi miti.
Quali sono i miti da sfatare?
Faccio un esempio. A partire dagli spostamenti un po’ più lunghi, l’approccio nel costruire le reti di trasporto pubblico è sempre stato di accontentare anche piccole frazioni o singoli utenti che magari esercitavano una loro influenza in piccoli centri. Ma questo, oltre a basarsi sull’erronea legge di chi grida più forte, comporta anche servizi di linea molto lunghi e costosi, perché necessitano di un numero elevato di mezzi e di personale. Sarebbe invece più efficace costruire una rete di trasporto gerarchizzata, quindi basata su linee a diversa frequenza e capienza declinate sul territorio sulla base di uno studio approfondito degli spostamenti e delle esigenze di mobilità.
Questo significa, ad esempio, servire le tratte caratterizzate da maggiori spostamenti con linee dirette ad alta frequenza, mentre in quelle meno battute possono funzionare anche servizi che prevedono piccoli discomfort come cambi di linea (piuttosto che una linea diretta che però passa solo una volta al giorno). Ci vogliono reti ragionate, molto più resilienti riguardo a chiusure temporanee o problemi che possono verificarsi nel tragitto. Se ci sono reti lunghe e complesse, un problema nel quadrante nord ovest della città può avere ripercussioni fino a quello sud est.
Sotto quali altri aspetti bisogna cambiare l’approccio?
Si pensa che il compito di un’azienda di trasporto sia occuparsi di far viaggiare i mezzi e quindi produrre chilometri, in realtà non ha come cliente il chilometro, ma la persona, che andrebbe messa al centro con le sue esigenze. Dovrebbe occuparsi della pianificazione. Invece i sistemi di pagamento dei contratti di servizio sono basati sostanzialmente sul chilometro, non sul passeggero.
Quali sono gli esempi virtuosi che avete contribuito a realizzare?
Se parliamo della trasmissione di una cultura del dato nel campo dei trasporti, il primo è quello di Trenord, perché è stata la prima azienda in Italia che ha voluto investire su un approccio sistematico nella lettura dei dati relativi alla mobilità: il cosiddetto data driven. È stata la prima società a seguirci e sta introiettando nel suo DNA questo tipo di approccio, che non è facile da realizzare. Per il resto, oggi constatiamo una maggiore apertura in merito alla decarbonizzazione dei trasporti: ci sono importanti player internazionali che stanno adottando l’approccio data driven, per dare basi scientifiche sia alla loro impronta emissiva che ai progetti ideati per diminuire e azzerare le emissioni dei sistemi di trasporto che impattano con la loro attività.
Che indicazioni potete dare alle aziende da questo punto di vista?
I big data permettono di scattare una sequenza di fotografie molto dettagliate dell’impatto che si genera dal punto di vista emissivo. L’obiettivo è di capire anche gli effetti di player terzi: il mondo emissivo è diviso in due blocchi, quello su cui l’azienda ha direttamente competenza e quello in cui concorre insieme ad altri attori a ridurre le emissioni. Il secondo è il più sfidante: c’è la necessità di mettere tutti intorno a un tavolo, dalla Commissione europea con il Green Deal fino al singolo operatore che vuole ridurre le emissioni. Le scelte energetiche, di politica industriale e pianificatorie influenzano il traffico e la motorizzazione nei singoli paesi.
È necessaria la cooperazione tra diversi soggetti a diversi livelli?
Per ottenerla serve coscienza e conoscenza di quello che ci circonda e i big data possono concorrere a questo. Noi ricostruiamo degli strumenti diagnostici e modelli di simulazione che consentono di testare i cosiddetti scenari, e valutiamo oggettivamente le conseguenze relative alle diverse scelte possibili.
Permettete all’azienda di capire il livello delle sue emissioni e come potrebbero essere diminuite?
Aiutiamo a capire quali sono le emissioni che l’azienda X genera: quanto emette attualmente e quanto può ridurre le sue emissioni nei prossimi anni in base agli impegni di altri a concorrere a questa riduzione. Per andare a una fiera o in aeroporto al momento c’è un uso pronunciato dell’automobile, e anche se esiste un collegamento con una ferrovia o una metropolitana, se sono alimentate con energia proveniente da fonti fossili anche i passeggeri che usano il trasporto pubblico emettono C02. Le emissioni generate dai passeggeri variano quindi in base alla fonte energetica con cui questi mezzi vengono alimentati. Tutto dipende dalle scelte energetiche del Paese, ma anche dai bonus dell’azienda per incentivare l’uso della ferrovia. I dati in questo cointesto sono un mezzo grazie al quale ci si può confrontare con oggettività.
In tutto questo l’intelligenza artificiale vi sta già dando una mano?
Sì. L’AI dà un ottimo contributo per sopperire alla mancanza di forza lavoro specifica, ma non sostituisce le persone. Noi abbiamo sviluppato dei piccoli assistenti virtuali che non sostituiscono la nostra consulenza, ma forniscono un ausilio ad enti e imprese per riuscire a svolgere in autonomia attività basilari, permettendo una migliore comprensione delle informazioni in nostro possesso. Un sistema apprezzato, che permette di abbattere il tempo di esecuzione in molte situazioni. Il settore ha una strutturale carenza di risorse.
Concretamente, come si sviluppa il contributo dell’IA?
Le agenzie del trasporto pubblico hanno difficoltà a comprendere con esattezza se gli operatori di trasporto rispettano il programma di esercizio, se ci sono variazioni nel servizio o anche solo quanti passeggeri salgono e quanti biglietti vengono venduti. Su questo vengono fatte delle analisi ex post, a consuntivi, che spesso redigono le aziende di trasporto stesse. Le agenzie devono quindi affidarsi a report che arrivano anche con un anno di ritardo. Con strumenti più efficaci, affiancati a un assistente virtuale, riescono ad ottenere in automatico ciò per cui, fino a poco fa, avrebbero dovuto attendere a lungo. Per realizzare tutto ciò, comunque, occorrono aziende convinte di voler intraprendere questo cammino e che si impegnano per proseguire in questa direzione.
Che tipo di mobilità possiamo immaginarci per il futuro, per quello che sappiamo ora?
Siamo in un momento di transizione. Il sistema propenderà, a mio avviso, per un utilizzo ancora più spinto dell’automobile. Il trasporto pubblico non sta attraversando la stessa trasformazione che sta intraprendendo il settore automobilistico. Quello che verrà di nuovo giungerà da lì. Il cambiamento della mobilità è stato determinato dalle nuove esigenze delle persone, ma a breve sarà completamente innescato dalla rivoluzione tecnologica delle automobili. Il trasporto pubblico, per come è concepito in questo momento, non è in grado di competere. Anche se, fatto salvo i treni a media-lunga percorrenza e le metropolitane, per il futuro mi aspetto che il settore sia più vicino a qualcosa tipo l’utilizzo in sharing di un’auto privata. Si andrà verso un sistema on demand, che offre opportunità molto più simili a quelle che finora sono state prerogativa dell’automobile.
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