

Nel presentare il recente rapporto “MobilitAria 2021”, elaborato da Kyoto Club e CNR-Istituto sull’Inquinamento Atmosferico, ha spiegato che l’esplosione della pandemia aveva inizialmente ridotto il traffico delle città e l’inquinamento. Ma nella seconda metà del 2020 le emissioni legate al settore della mobilità sono tornate ad aumentare, con il rischio di un ritorno ai livelli pre-Covid. Coordinatrice del gruppo di lavoro “Mobilità sostenibile” del Kyoto Club, Anna Donati è stata parlamentare per i Verdi oltre che assessore alla mobilità e infrastrutture nei comuni di Bologna e Napoli. Da esperta di mobilità urbana, servizi per i pendolari, piani di investimento nelle reti, servizi e infrastrutture di trasporto per merci e passeggeri, la Donati è fortemente interessata al tema dei dati, ai metodi di raccolta e valutazione. «Nel report abbiamo spiegato che i centri grandi e medi si stanno riorganizzando per essere sempre più “green”, puntando su reti ciclabili, micromobilità e altre strategie. Ma la crisi che sta vivendo il trasporto pubblico, così come la sospensione delle ZTL, rischiano di vanificare parte degli sforzi messi in campo».
Sono proprio i dati a dirci che sul fronte “decarbonizzazione” le città italiane faticheranno a essere in linea con le altre capitali europee. Entro il 2030 tutto il Vecchio Continente dovrà tagliare il 55% delle emissioni climalteranti: a questo ritmo, il target rimane irraggiungibile. «Le città e la mobilità urbana – dice Anna Donati – continuano ad essere i grandi assenti nel PNRR. Anche quello presentato dal governo Draghi non costituisce una strategia efficace per una svolta a sostegno di una decarbonizzazione dei trasporti. Auguriamoci che dal confronto in corso, dai progetti che saranno presentati, dal Fondo Complementare, dall’ulteriore fondo per investimenti di 26 miliardi annunciato dal Presidente del Consiglio, sia possibile riequilibrare la spesa verso la mobilità sostenibile delle nostre città. Alcuni settori si sono già messi in moto con riconversioni industriali, efficienza energetica, innovazione sostenibile, elettrificazione ed evoluzione delle batterie: tutte azioni che hanno consentito all’Italia di rispettare gli obiettivi del protocollo di Kyoto. Purtroppo il settore della mobilità preoccupa perché il calo delle emissioni è arrivato solo in seguito a crisi economiche o pandemie, non direi per volontà politiche o strategie. Quello dei trasporti è un settore che sembra non aver compreso fino in fondo la missione del Green Deal europeo».
01Il report di MobilitAria
Sul tema relativo ai dati, l’intervista con la coordinatrice del Kyoto Club era iniziata partendo dalle difficoltà di reperimento dei numeri che compongono il report di MobilitAria. «Una vera caccia al tesoro – era stata la sua definizione – nella quale si sommano diversi problemi. Non è un mistero che le pubbliche amministrazioni siano variegate in base alle città: questo significa dover rincorrere i referenti per ottenere i dati. Alcuni ti rispondono in tempi civili, altri ti chiedono di aspettare perché a loro volta devono reperire informazioni sparse qua e là, non essendoci monitoraggi costanti e continui di ciò che accade. Ci sono amministrazioni abituate a discutere con cittadini e associazioni, e sono quelle più pronte a fornirti informazioni. Altre sono sorprese dalle richieste, non sanno chi è deputato a dialogare né se è autorizzato a rispondere. Insomma in certi territori è davvero complicato. Oltretutto il lockdown ha peggiorato la situazione: non essendoci dipendenti presenti negli uffici, se non rispondono alle email non sai come rintracciare l’interlocutore… Tanto è vero che nel report di MobilitAria i dati riferiti ad alcune città sono assenti: neanche dopo 6 mesi abbiamo ottenuto risposte…».
Oltre a essere sparsi, i dati sono scarsi. I dati sulla mobilità sono pochi, non tutti hanno elaborazioni comprensibili, rivendibili, espressi in formati accessibili. È evidente che un Comune e le agenzie collegate più dispongono di strumenti digitali, applicazioni, zone a traffico limitato, più i dati disponibili vengono forniti in tempo reale. «Ma se tutto questo è fragile e debole – spiega Donati – le difficoltà aumentano. Alla scarsità numerica si aggiunge una bassa qualità dell’elaborazione, perché in certi casi i dati sono vecchi, parziali e relativi a zone non omogenee. Alla fine diventa estremamente complicato riuscire a ottenere una fotografia uniforme e tempestiva».
02I dati sul trasporto privato
I dati sul trasporto pubblico, come abbiamo visto, risentono di fattori intrinsechi al sistema: oltre alla frammentarietà dei flussi e ai ritardi, c’è un grande dibattito sul modo in cui vengono calcolati. «Da anni ci chiediamo – aggiunge Anna Donati – quanti di questi dati siano reali e quanti invece solamente stimati. Ma la vera questione macroscopica è quella legata ai dati sul traporto privato: al confronto, questi sono praticamente… assenti. Qualcosa arriva dagli operatori della sharing mobility, sebbene si tratti di dati molto aggregati per un tema di riservatezza verso la concorrenza e il mercato. Con l’obiettivo di analizzare, sostenere e promuovere il fenomeno in Italia, nel 2015 è nato l’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, una piattaforma di collaborazione tra istituzioni pubbliche e private, operatori di mobilità condivisa e mondo della ricerca. Oltre che dall’osservatorio, qualcosa arriva dai dati delle ZTL. In quest’ultimo caso, però, i numeri sono parziali perché non tengono conto di tutto ciò che sta all’esterno di questa fascia. Se prendiamo Roma o Bologna, è evidente che senza i flussi di traffico di tangenziali, raccordi anulari, aree metropolitane, vie consolari, ciò che si ottiene è soltanto una parte del fenomeno. Del Grande Raccordo Anulare sappiamo che ogni giorno vi transitano circa 160mila veicoli: ma non avendo accesso a dati incrociati con Roma Servizi per la Mobilità, non capiamo questi 160mila che entrano e escono dal GRA poi dove vanno, dove si sparpagliano, che flussi fanno, le percorrenze medie…».
03I dati per i PUMS
Dati parziali, dati non stabili, dati non elaborati. Per cercare di guardare il bicchiere mezzo pieno, Anna Donati cita Milano, Torino e Roma. Comuni che, grazie ad agenzie e società pubbliche per la mobilità intelligente e sostenibile, hanno implementato sistemi e strategie per monitorare territori sempre più vasti. «Dopo il lockdown – spiega lei stessa – queste tre agenzie hanno fornito dati più accurati, ma è un’eccezione. Dopodiché c’è uno scalino vero. Esistono realtà dove la ZTL si limita a una piazza centrale e una manciata di vie, e quindi il riscontro sulla mobilità privata è davvero minimo. Questo discorso si incrocia con quello dei PUMS, i piani urbani della mobilità sostenibile, che sul tema dell’accesso ai dati risentono delle stesse criticità già riscontrate prima».
Per la cronaca va ricordato che i PUMS derivano dalle linee guida elaborate in sede europea nel 2014 le cui parole chiave sono la mobilità per i cittadini, la sostenibilità, la partecipazione e la condivisione, la qualità dello spazio pubblico, superando il concetto di traffico e fluidificazione a cui siamo stati abituati. Come strumento integra il Piano Urbano del Traffico (PUT) che è uno strumento di gestione a breve periodo e di ambito comunale e sostituisce il Piano Urbano della Mobilità (PUM) della legge 340/2000 che non avevano mai avuto una regolamentazione efficace. «Nonostante per le città metropolitane il PUMS rappresenti uno strumento necessario per accedere ai finanziamenti – dice Donati – e per intervenire sul trasporto rapido di massa, molti comuni continuano ad arrancare alla ricerca di dati validi e spendibili. Come abbiamo detto prima: chi ha i dati in cassaforte, li utilizza. Chi non ce li ha, si muove in due direzioni. Nel primo caso si fa un’indagine una tantum solo per rendere adeguato il PUMS. Nel secondo, specie nelle città medie, non si fa neppure questo: ho visto piani del 2018 redatti con dati ISTAT sulla ripartizione modale del 2011…».
Il succo, sostiene Donati, è che se fai previsioni con dati che arrivano da lontano, senza capire cos’è accaduto nel frattempo, e su queste basi determini gli obiettivi di ripartizione modale, è ovvio che molti dubbi ti vengono rispetto al futuro. «Bologna ha un buon numero di dati accumulati per la zona centrale: ZTL, aziende di traporto, dispositivi contabiciclette sulle ciclabili, corsie riservate con telecamere, incidentalità. Ma per fare un PUMS di area metropolitana ha dovuto incrociare dati attuali con altri ricavati da indagini una tantum, da progetti in corso per la logistica delle merci. Alla fine il dato è statico, non emerge una vera fotografia del cambiamento. Tra l’altro con l’arrivo di certi fenomeni – crisi economiche e ora emergenze sanitarie – certi PUMS sarebbero già da aggiornare, sia sugli obiettivi che sui dati di mobilità. In effetti non sappiamo cosa sia effettivamente cambiato con il lavoro da remoto, come si sono modificate le abitudini e gli stili di vita, se chi resta a casa sono più le persone che usavano il trasporto pubblico o il veicolo privato. Capisco quindi le preoccupazioni da parte di chi, avendo sistemi statici, è costretto ad aggiornare le politiche e le strategie sulla base di nuovi eventi».
04La mancanza di riflessione sul dato
Il punto successivo si aggancia al precedente. Alla carenza di numeri, nei PUMS si aggiunge una mancanza di riflessione sul dato. «Manca un metodo per valutare il dato in modo uniforme e oggettivo: questo sarà un grande problema fino a che non esisterà un sistema di raccolta dati dinamico, digitale, aggiornabile in tempo reale e con criteri omogenei di valutazione. Un esempio? Tutti i PUMS hanno il riequilibrio modale, ma nelle linee guida e nei regolamenti attuativi non esistono standard condivisi per calcolare questo elemento. È ovvio che così il confronto fra città diventa complicato, perché ognuna sceglie un criterio differente, sia per valutare il dato e sia per definire gli obiettivi. Per esperienza di assessore alla mobilità posso dire che a livello centrale, di Ministero, non ci si prende cura di sistematizzare le politiche del traffico. È una patata bollente che viene delegata a livello territoriale: evidentemente ha più appeal politico parlare di ponte sullo stretto e alta velocità. Che le città non siano un pensiero nazionale lo abbiamo visto anche nel recente PNRR presentato da Draghi. Qualcosa è cambiato con la nascita nel 2016 dell’Osservatorio dei PUMS, un organismo che svolge indagini continue sui piani urbani della mobilità sostenibile e sul loro stato di avanzamento. È vero però che da associazione esterna non abbiamo accesso al lavoro di questo organismo, a dati, ricognizioni, discussioni. Perché, mi chiedo, una volta all’anno l’osservatorio non decide di creare un momento di riflessione allargata alle città e alle associazioni interessate? Sarebbe una buona e proficua occasione per confrontare dati e politiche e fare il punto su quello che è successo, senza pagelle né esposizioni pubbliche. Solo condividendo strategie efficaci e competenze accumulate, possiamo pensare di riuscire a fare concretamente dei passi avanti, tutti insieme».